“Bacon, Freud e la Scuola di Londra” a Roma fino al 23 febbraio 2020 e il film Love Is the Devil (1998) di John Maybury hanno in comune molto più del nome del protagonista: Francis Bacon. Sia la narrazione della mostra che quella cinematografica indagano infatti il rapporto tra arte pittorica, fotografia e cinema. Percorrere le sale dell’esposizione e scorrere le inquadrature del film significa riconoscere una poetica basata sulla centralità della figura umana e della vita quotidiana, colte nei più diversi e vari aspetti, dal prosaico al dettaglio intimo, ma sempre trasfigurate in immagini evocative e potenti, spesso mediate attraverso altre espressioni artistiche.
Primo lungometraggio di Maybury dopo una lunga serie di significativi video musicali e di importanti collaborazioni con Derek Jarman, Love Is the Devil è basato sulla biografia autorizzata scritta dall’amico Daniel Farson, Francis Bacon. Una vita dorata nei bassifondi (1994). Tuttavia, la preoccupazione centrale del film non è certo quella di offrire un’accurata ed esaustiva ricostruzione della vita di Bacon. Love Is the Devil si concentra, infatti, su un periodo limitato della vita dell’artista, dall’incontro con il suo amante George Dyer nel 1963 al suicidio di quest’ultimo nel 1971. Ritrarre Bacon significa esplorare il modo in cui la macchina da presa può realizzare il progetto dell’artista: “distorcere la cosa ben oltre l’apparenza ma, nella distorsione, restituirla come un documento dell’apparenza”.
Love Is the Devil ci immerge subito nell’arte di Bacon, ritraendo la caduta del ladruncolo George Dyer nello studio dell’artista, movimento più volte invocato o minacciato nel corso del film, metaforico dell’economia libidica della narrazione compresa tra godimento penetrativo e cupio dissolvi. Tuttavia, più che portare a contatto Bacon e Dyer – “Vieni a letto”, dice sbrigativamente l’artista al ladro – la macchina da presa è interessata, mostrandoci a rapidi flash di luce lo spazio già in sé distorto dello studio dell’artista e delle cose che lo popolano, a metterci in contatto con le ossessioni di Bacon e con il suo modo di fare arte: una pittura senza modelli, con colori stesi sulla tela a grumi, basata su fotografie anche cruente o fotogrammi di film iconici per la storia del cinema come La corazzata Potemkin (1925) di Eisenstein.
“L’urlo mi viene bene, ma ho molti problemi con il sorriso” è la frase di Bacon che introduce la sala a lui dedicata nella mostra di Roma dove possiamo vedere anche il celebre Study for a Portrait (1952). Il quadro è una rielaborazione dell’urlo della donna colpita dall’esercito zarista nella scena della Scalinata di Odessa del film di Eisenstein. In Love Is the Devil, Bacon seleziona dal suo confuso archivio l’inquadratura de La corazzata Potemkin e ne inizia la rielaborazione. La macchina da presa è alle spalle di Bacon, ma mentre l’artista lancia il colore rosso sulla tela, l’inquadratura stacca in modo da passare dietro la tela, ritraendo il volto di Bacon attraverso il disegno e il colore già impostato nel dipinto. Macchina da presa e tela pittorica vengono quindi a coincidere in un infinito, indefinito e distorto spazio meta-filmico. Love Is the Devil omaggia la tecnica della distorsione cara a Bacon, dipingendo sulla macchina da presa i volti deformati dalla moltiplicazione di superfici riflettenti, arrivando a comporre un trittico sull’uso di detersivo in polvere per lavarsi i denti. La scena in cui Dyer urina contro un water deformato dipinto da Bacon costituisce proprio quella distorsione della cosa oltre l’apparenza e la sua restituzione come documento dell’apparenza centrale alla poetica dell’artista.
Sostenuto dalla vibrante e lancinante colonna sonora di Ryuichi Sakamoto e dalle interpretazioni di Derek Jacobi e Daniel Craig, Love Is the Devil è una biografia della poetica più che della vita di Francis Bacon, fedele all’aspirazione dell’artista di “afferrare un fatto al suo punto più vivo”.