In un attimo di pausa, o di attesa, l'agente di polizia Gigi fuma una sigaretta. Una sospensione dell'ordinario girovagare in macchina del poliziotto che è una sospensione della narrazione del film stesso ma solo a partire da questa sospensione l'immagine può diventare centro nevralgico di ogni flusso narrativo. A un certo punto, infatti, il silenzio viene spezzato da una conversazione via radio con la nuova collega Paola con cui da qualche giorno flirta senza averla mai vista. Giunge poi il suono fuori campo del treno che passa, rimandando alla detection che l'agente stava svolgendo su alcuni misteriosi suicidi.

Le narrazioni si ritrovano via via lungo il percorso, si scoprono ogni volta nuove, sorprendono non solo lo spettatore ma, sembra, anche la macchina da presa, nonostante la fissità dei suoi piani sequenza. Il terzo film di Alessandro Comodin, Gigi la legge, vincitore del premio speciale della giuria all'ultimo Locarno, è un nuovo e innovativo capitolo del cosidetto “cinema del reale” italiano.

Dopo Apichatpong (L'estate di Giacomo) e Bresson (I tempi felici verranno presto), Comodin sembra qui guardare a un altro “antropologo”, il Bruno Dumont di L'umanità e P'Tit Quinquin. Eppure lo sguardo "spostato" del suo poliziotto di provincia esprime una vitalità inedita, la sua ironia è più solare che provocatoria e non si giunge mai alla soluzione tragica. Piuttosto il suo Gigi si fa simbolo di un mondo totalmente "spostato", che però lo spettatore non è abituato a riconoscere nella sua innocente singolarità. Un'innocenza che si esprime tanto nel contenuto, come le investigazioni fatte di leggeri sospetti e inquietudini filosofiche o come il legame con Paola stretto attraverso semplici conversazioni via radio, tanto nello stile, costituito da "scolastici" campo/controcampo.

Il film gioca con la durata prolungata dei suoi piani fissi per poi spiazzare con un controcampo che porta lo spettatore a riconsiderare l'intera sequenza. Allo stesso modo i fuori campo (la parola di Paola, i misteriosi suicidi) spiazzano Gigi, solleticano la sua immaginazione e la sua volontà di vivere. Questo gioco con lo spettatore definisce la posizione dell'altro nello sguardo del protagonista: se per la maggior parte del film vediamo Gigi al volante e la partner rimanere fuori campo, alla fine Paola si rende visibile attraverso un controcampo che la svela al volante. L'atmosfera gioiosa che si insinua lentamente nel film ha quindi a che fare con uno spostamento linguistico della posizione dell'altro.

Se nello sguardo di un altro "antropologo" italiano, Michelangelo Frammartino, l'esperienza umana viene pensata a partire dall'incontro con l'informe (animale o naturale), Comodin rintraccia un'informità naturalmente umana, il linguaggio. Il filosofo Helmuth Plessner definiva l'umano come "l'animale eccentrico", il cui centro (il corpo animale) veniva spostato dall'"immediatezza mediata" del linguaggio. Non è un caso la centralità nel film della conversazione in macchina (tema che condivide con un altro film-evento dell'annata festivaliera, The Plains di David Easteal) o l'importanza del dialetto nella costruzione del singolare sguardo del protagonista. Né che l'entrata in scena del corpo dell'oggetto d'amore (Paola) avvenga per un gesto linguistico cinematografico (il campo-controcampo). Né, infine, che la sublimazione finale del rapporto tra Gigi e Paola si dia nel canto.

Cos'è l'amore se non il gioioso riconoscimento di una singolarità irriducibile al corpo, di una posizione eccentrica?