Non sembra passare mai di moda sugli schermi, il giallo classico alla Agatha Christie. Che si tratti di un adattamento dell'originale, o di una reinvenzione sulla falsariga, pare sempre sufficientemente intrigante e poco problematizzante da restare uno dei divertissement preferiti del pubblico. Difficile però ormai ritrovarlo in purezza, tanto che anche versioni in teoria ossequiose della tradizione come quelle dirette da Kenneth Branagh portano sullo schermo un investigatore Poirot completamente riscritto per aggiungervi un tormento psicologico apocrifo.
Più battuta invece, negli ultimi anni, la strada di Glass Onion – Knives Out di Rian Johnson, secondo capitolo di una annunciata trilogia cominciata con Cena con delitto – Knives Out (2019), il cui successo ha fatto da apripista al revival massiccio della lettura del genere incentrata su autoironia e iper-consapevolezza dei propri ingranaggi. Nulla di inedito naturalmente, la compresenza di trama gialla tradizionale e sua contemporanea aperta presa in giro è qualcosa che viaggia sugli schermi almeno da Invito a cena con delitto di Neil Simon del 1976 (con qualche prodromo in certi film inglesi degli anni '60). Ciò che Johnson ha saputo fare con perizia è stato riprendere questi stilemi virando ulteriormente verso ossessioni tutte (post)contemporanee come il citazionismo e la meta-narrazione.
Così eccoci di nuovo in un'ambientazione di quelle ben più che familiari, che, se nel primo capitolo Cena con delitto era il maniero di campagna, qui in Glass Onion diventa la remota ed esclusiva isola balneare. Aggiungiamoci un cast – perlopiù – all stars, con in testa Daniel Craig a riprendere il ruolo dell'investigatore Benoit Blanc, e attualizziamo i personaggi stereotipati della Christie (volutamente dei “tipi” da inquadrare in quattro e quattr'otto) all'oggi, con un miliardario ipertrofico nell'ego e nel cattivo gusto, una celebrity più ferrata sull'estetica che sul politically correct, una star di Twitch con la propensione alle maniere forti, e via incasellando. Poi, come riassunto esplicitamente in Omicidio nel West End, altro recentissimo esemplare del sottogenere giallo-parodia, basta radunarli, far morire il più antipatico, e dimostrare che l'assassino è quello che pareva il meno probabile.
Oppure giocare giusto un po' con queste aspettative di base, perché, come Glass Onion fa dire in un monologo a Edward Norton quasi ad anticipazione delle sue intenzioni future, bisogna osare rompere le regole ma poi non troppo. Johnson, anche sceneggiatore, dimostra di comprendere a fondo come il godimento dello spettatore in un whodunit non stia solo nello svelamento di chi sia l'assassino, ma anche precedentemente di chi possa venir ucciso. Nonostante ciò, la prima parte di introduzione allo scenario e ai personaggi in attesa dell'omicidio risente di una eccessiva lunghezza, poi riscattata da un brillante twist intermedio con conseguente necessaria ri-narrazione degli eventi precedenti da tutt'altro punto di vista, certamente la parte più riuscita del film.
Il finale è un trionfo di furia iconoclasta da far impallidire il Manifesto Futurista di Marinetti, nel quale Johnson inserisce con l'accetta suggestioni da revenge movie contro la supponenza e la ferocia del capitalismo avanzato, e degli squilibri di potere razziale e di genere (che però nella realtà gli attivisti ambientali si stiano scagliando contro i quadri nei musei, sembra confermare una sua certa capacità di visione). È tutto piuttosto divertente, purché non faccia gridare al miracolo parte della critica come già avvenuto per Cena con delitto.
Citazionismo e meta-cinematografia tendono a mandare in solluchero i cinefili, quasi per reazione pavloviana, ma non nobilitano necessariamente un'opera se non producono una riflessione “altra” rispetto allo smascheramento di schemi peraltro evidentissimi di cui lo spettatore è da sempre bonario complice.