Oggetto critico di non scontata definizione, se non altro per la sua evidente natura di film più commerciale, in una filmografia di tutto rispetto, ma sottovalutata e di grande modernità all’interno del genere, come quella di McCarey, Going my way stravince agli Oscar 1945 e sembra essere scritto anche in funzione di un successo di questo tipo. Fa parte dei film religiosi e spirituali del regista cattolico, e racconta, con la solita precisione di McCarey nella descrizione delle dinamiche relazionali tra gli individui, la difficile convivenza tra Chuck O’Malley, giovane sacerdote progressista e musicofilo, cioè l’efficace Bing Crosby, e Fitzgibbon, un anziano parroco irlandese, interpretato dall’ottimo Barry Fitzgerald.

Agli iniziali contrasti, non tanto negli intenti quanto nei metodi, seguono prevedibilmente l’accordo e l’amicizia tra i due, a partire dalla scena fondamentale in cui Fitzgibbon, dopo essere scomparso misteriosamente per qualche ora, condivide con O’Malley il whiskey che la madre novantenne gli spedisce periodicamente. In quel momento, O’Malley confessa a Fitzgibbon di aver perso la mamma da bambino e i due uomini, diversi nella personalità ma entrambi innegabilmente di buon cuore, paiono finalmente capirsi e comunicare a livello profondo. Subito dopo, Fitzgibbon chiede a O’Malley di cantare per lui Too-Ra-Loo-Ra-Loo-Ral e si addormenta come un bambino.

Proprio perché Going My Way non è uno di quei film in cui i sacerdoti infrangono il voto di castità, è interessante analizzare i rapporti di O’Malley con le figure femminili, tutt’altro che stereotipati. Se, appena arrivato nel quartiere, Chuck ha subito l’occasione di scontrarsi con la beghina Quimp, esempio negativo di religiosità, in seguito conosce la sorridente cantante diciottenne Carol James (Jean Heather), scappata di casa, che accompagna al piano in The Day After Forever, insegnandole a cantare con sentimento. C’è qualcosa di paterno nell’atteggiamento di Chuck verso la ragazza, non fosse altro che per motivi anagrafici, e c’è anche l’intuizione che la giovane donna è nell’età delle scelte decisive. Infine, compare Genevieve Linden, un’ex fiamma del sacerdote. Anche lei è una cantante, ma d’opera, e deve a Chuck l’incoraggiamento iniziale di grande aiuto per lanciarsi nella carriera musicale. Autonoma professionalmente, si esibisce al Metropolitan, e grazie a lei Chuck riesce ad affittare il teatro per far sentire al discografico Max un paio di pezzi, eseguiti con un coro di bambini di strada (non mancano mai i bimbi nei film di McCarey), tra cui la Going My Way che dà il titolo al film, scartata da Max perché troppo all’antica. Sorta di aiutante proppiana, ma non magica, Genevieve è anche la benefattrice che dona 3500 dollari alla parrocchia per ricostruirla dopo un grave incendio.

“È quello che facciamo per gli altri che rende la vita meravigliosa”, si ascolta nel sermone finale in chiesa e sembra questa la chiara morale francescana di questo feel-good movie di un maestro del cinema hollywoodiano, veicolo perfetto per le performance canore di Crosby, natalizio nei toni e sentimentale come quella Silent Night che è cavallo di battaglia indiscusso del celebre crooner americano. Da guardare durante il cenone, insieme ai parenti.