Cinquanta ore in mezzo all'Atlantico con il comandante Ernest Krause e il suo equipaggio, alla testa di un convoglio di navi da rifornimento destinate agli Alleati in Europa durante la Seconda Guerra Mondiale, senza copertura aerea e con gli U-Boot tedeschi minacciosamente in agguato: questo è Greyhound – Il nemico invisibile, tratto dal romanzo The Good Shepherd di Cecil Scott Forester, con Tom Hanks grande mattatore (oggi distribuito su Apple+ a causa della chiusura delle sale americane e in gran parte del mondo).

Trattare della guerra nelle retrovie, fuori dai campi di battaglia, per quanto di certo significativo e opportuno (nel corso della Battaglia dell'Atlantico più di 3.500 navi da rifornimento vennero affondate, e oltre 72.000 soldati ne morirono, ci viene ricordato prima dei titoli di coda), contiene in nuce alcuni punti di debolezza rispetto a un'efficace drammatizzazione narrativa degli eventi: difficile portare sullo schermo le strategie militari in mare aperto e restituire l'ingegnosità di attacchi e contrattacchi, quando nell'assenza di riferimenti visivi si fa complicato rendere scenicamente persino i cambi di direzione delle imbarcazioni.

Il regista Aaron Schneider rimedia come può, con adeguata efficacia e senza troppa inventiva, filmando direttamente dei disegni riassuntivi delle posizioni delle forze in campo, a beneficio della comprensione degli spettatori, e affidando la creazione della suspense ai dialoghi concitati e alle espressioni di trattenuto sgomento dei suoi interpreti. In tal senso non avrebbe nuociuto, in fase di sceneggiatura firmata dallo stesso Hanks, dare un po' più di coloritura ai personaggi secondari senza concentrarsi solo sul protagonista interpretato da lui medesimo – non a caso la figura del cuoco, la cui gentilezza d'animo nell'accudire il comandante è meglio argomentata, è quella verso il cui fato si prova il maggior trasporto.

Comunque corretto e ben svolto, Greyhound sembra quasi un film d'altri tempi, confortevole nel suo essere un filo desueto, poco in linea col sentire comune odierno persino di una nazione ottimista come gli U.S.A.: glorifica la buona leadership, e mostra la nobiltà del silenzioso supporto che il gruppo può dare al singolo nel momento della difficoltà. Per farlo utilizza non a caso l'unica guerra, quella contro i nazisti, in cui ci si possa sentire dalla parte dei giusti senza dubbi o criticità, e non manca di sciorinare nel suo repertorio grandi classici come la croccantezza delle bandiere al vento, l'enfaticità della colonna sonora, e l'utilizzo di filtri morbidi e diffusivi per raccontare il grande amore che aspetta a casa (una Elisabeth Shue insolitamente retorica e sottotono).

C'è poi da dire che di Tom Hanks, evidentemente destinato alle disavventure per mare, dopo Cast Away e Captain Phillips - Attacco in mare aperto, come buon pastore di noi tutti potremmo anche non averne mai abbastanza, dati il carisma e la sensibilità recitativa. Ma è anche evidente come stiamo parlando esattamente del tipo di film a cui la riparatoria distribuzione in streaming, saltando il passaggio nelle sale, ha nuociuto di più: senza l'amplificazione su grande schermo del mare agitatissimo dalla CGI e i sobbalzi del Dolby Surround, Greyhound perde forse un buon terzo della sua epidermica potenza emotiva.