In occasione della recente scomparsa di Sean Connery, pubblichiamo alcuni estratti da un articolo in difesa dell’agente segreto 007, dello scrittore e giornalista Guido Piovene, pubblicato su ‘La Fiera Letteraria’ il 19 ottobre 1967 e conservato nel fondo Calendoli. Nell’approfondimento dagli archivi, gli articoli selezionati rendono evidente come la carriera dell’attore sia imprescindibilmente legata all’interpretazione, se non incarnazione, del personaggio di James Bond e al contempo, una volta ottenuto il successo, alla volontà dell’attore scozzese di liberarsene, dimostrando di sapere interpretare ruoli drammaturgicamente complessi. Il sottotesto di questa caparbia volontà di Connery di prendere le distanze da certo cinema sta nel fatto di essere consapevole che è l’élite intellettuale che decide cosa è cultura e cosa no e ha già da tempo etichettato i romanzi di Ian Fleming e James Bond, come un prodotto di mero consumo.

A questo proposito la recensione di Piovene su 007-Si vive solo due volte (L. Gilbert, 1967) è dirimente. Da uno scrittore che ha dedicato molto del suo talento al reportage di viaggio e che ha saputo cogliere con acume l’evoluzione della società italiana non ci si aspetterebbe un giudizio tanto positivo. Invece, vuoi perché erano tempi in cui si interpretavano i film con parametri ideologici, vuoi perché l’intelligenza si misura anche nella capacità di riconoscere e distanziarsi dal pregiudizio, Piovene offre una lettura del fenomeno cinematografico personale e divertente.

Inizia col ricordare le sue frequentazioni infantili degli spettacoli di marionette in improbabili teatri (ex-scuderie e/o ex-legnaie) di provincia: "Uno dei punti culminanti di non ricordo quale fiaba era l’entrata in scena di un enorme drago volante, il quale navigava nell’aria orizzontale come un pesce nell’acqua, e giunto all’altezza d’un cavaliere spalancava la bocca e l’inghiottiva tutto intero continuando il suo movimento e uscendo dalla parte opposta. Questa bella impresa del drago mi è tornata in mente all’ultimo film di James Bond, quando una capsula spaziale più grande e più veloce, messa in orbita da un occulto e malvagio tecnocrate, viene furtivamente ad accodarsi nei silenzi dell’etere a una capsula americana e poi a una sovietica. Qualche attimo prima di raggiungerle la sua punta si apre come una bocca e si richiude avendo inghiottite le capsule con gli astronauti che contiene".

Piovene ricorda che i giornali hanno trattato piuttosto male quest’ultimo film, rimpiangendo i precedenti, pur avendo disprezzato anche quelli:

“È stata una buona occasione per qualche frecciatina ironica agli intellettuali che avevano mostrato di interessarsi seriamente a questo nuovo tipo di film d’avventure, quando sulle gesta filmistiche di 007 si scrivevano saggi, e ancora di più su Fleming, inventore del personaggio. […] L’agente 007 ha rappresentato per me un momento, non privo di interesse, nella storia del film-racconto d’avventura. Chi farà la storia del genere non lo potrà dimenticare”.

Lo scrittore prosegue ricordando che persino Saba, il grande poeta, diceva che ne ricavava sempre qualche osservazione utile e che “la congerie dei libri e dei film commerciali, veduta nel suo insieme, porta il calco dei sogni che vuole sognare la folla. Essa poi porta quel bisogno del sorprendente, dello strano, del meraviglioso, del fantastico, dell’emozionante, che caso per caso dà forse prodotti destinati al consumo di un’ora, ma per se stessa è fatto durevole e serio, chiede sempre nuovi alimenti, fomenta la richiesta mai esaurita dello spettacolo”.

Forse l’osservazione più acuta del giornalista che finemente applica la lezione della scrittura di reportage, analizzando sogni e desideri alla stessa stregua dei fenomeni sociali, è questa: “Non è nemmeno vero che il gusto delle folle e la loro richiesta siano comandati, falsati, manipolati dalla perfida industria culturale. L’industria culturale è in gran parte un mito, un bersaglio di comodo, com’erano in altri tempi il diavolo e le streghe. Se mai industria e umori del pubblico vanno sulla stessa barca; l’insieme dei prodotti finisce per corrispondere regolarmente a una richiesta genuina”.

Si apre poi un’analisi serrata e puntuale che entra nella materia. Secondo Piovene i film di James Bond oltre agli elementi di violenza, sesso e tecnologia aggiungono qualcosa di più, per esempio una certo gusto ottocentesco per “il dandysmo, per l’orrido e le macchine avveniristiche e fantascientifiche”. Nei dettagli scorge una ripresa di interesse per il Liberty: “sotto lo scarpino da cui scattava un pugnaletto intinto in un veleno fulminante, vedevo in controluce l’anello con uno smeraldo contenente veleno portato abitualmente al dito dal personaggio di un romanzo di Jean Lorrain, scrittore fin de siècle”.

Il personaggio di Bond, personaggio solo d’azione, del tutto privo di carattere, è corrisposto per un certo tempo anche ai modelli proposti dalla cultura superiore. Il giornalista sostiene che questo tempo è ormai finito e “all’eroe trionfante, invincibile, tutto gesto, senza anima, subentra un’altra formula, la spia meditativa, psicologizzante, che sente la meschinità, la tristezza, la sporcizia del suo mestiere, l’eroe deluso e disgustato”.

Se la formula proposta in questo James Bond è ormai consumata, per prolungarne la vita la soluzione è stata: “sprofondare sempre più nel gioco, nella favola, nell’inverosimiglianza. […] Macchine micidiali più strane e complicate che mai; fortilizi più che mai incredibili per occultare le trame dei geni del male. Le morti non spaventano, i supplizi non danno brividi; la violenza, i massacri, descritti con autoironia, mirano a suscitare nella platea non il terrore, ma piuttosto una gaiezza euforica”.

Piovene conclude: “Non so che farci; lo confesso; mi divertono la sigaretta che spara e l’elicottero-ippogrifo. Mi piacciono le fiabe, anche se gli elementi che combinano sono sempre gli stessi. Domando scusa, ma non posso cambiarmi, e se James Bond finirà, andrò sempre a vedere quello che prenderà il suo posto”.