Happyend, il primo lungometraggio di finzione diretto da Neo Sora, trasmette entusiasmo e una freschezza che ultimamente al cinema si vede di rado. Non solo perché affronta, con squisita autenticità e uno stile moderno, le avventure di alcuni studenti di una scuola superiore sprizzanti di una vitalità contagiosa, ma soprattutto perché lo fa intrecciandole ad una presa di coscienza politica tanto appassionata quanto necessaria.
Un auto sportiva in piedi sul suo posteriore è il simbolo di questo splendido film. Lo scherzo, dai connotati involontariamente artistici, orchestrato da Kou (Yukito Hidaka) e Yuta (Hayato Kurihara) nei confronti del preside ha una potenza sovversiva. Nel contesto di un Giappone sempre più ossessionato dal controllo e dalla soppressione delle libertà individuali, le azioni piene di vita degli studenti di un liceo superiore fanno da contraltare agli abusi sempre più pervasivi del potere.
Quello scherzo che sa tanto di installazione ha un prezzo molto alto, infatti il preside punisce l’ “atto terroristico” con l’introduzione di un pervasivo sistema di sicurezza dotato di telecamere a riconoscimento facciale e identificazione dei comportamenti illeciti, in grado di punire gli studenti scalandogli dei punti con cui sono classificati e ridotti a numeri su uno schermo.
L’ansia per la sicurezza, oltre ad una cavalcante xenofobia verso i non giapponesi e il terrore per un imminente e catastrofico terremoto previsto dagli scienziati, sono il quadro, lo sfondo distopico sul quale agiscono i protagonisti di Happyend. La vita si oppone ai computer, la libertà agli algoritmi. Su questa base Neo Sora disegna uno straordinario coming of age politico che chiama all’azione, in cui le speranze di un cambiamento radicale possono passare soltanto attraverso la presa di coscienza dei giovani di fronte ad un mondo al collasso.
In questo quadro dalle linee rigide e inflessibili, che il regista tratteggia con pazienza e intelligenza, i protagonisti appaiono come delle schegge impazzite. In una Tokyo dove dominano l’ordine geometrico delle rette e degli spigoli Kou e Yuta, insieme all’eclettico Ata-chan (Yuta Hayashi) e la compagna Ming (Shina Peng), appaiono più come le curve, le linee spezzate che l’algoritmo non riesce a contenere. La vivacità delle loro azioni caotiche ha un potere magnetico sullo spettatore, rendendolo partecipe di un’amicizia vera e intensa.
Neo Sora riesce a cogliere con estrema sensibilità quel momento in cui un adolescente solleva la testa e si rende conto di non essere solo, ma di far parte di una comunità e, ancora di più, di una società in cui ha la responsabilità di prendere posizione. E se le singolarità diventano collettivo allora il cambiamento può arrivare, anche a partire dal microcosmo di un liceo. Riesce ad afferrare quel passaggio dalla leggerezza dello scherzo alla maturità del sacrificio per un fine comune, rivendicando la convinzione che “le persone possono cambiare”, come afferma Kou a un certo punto.
Happyend delinea con infallibile precisione le dinamiche che si riproducono all’interno della scuola, dove ad animarsi sono soprattutto coloro sui quali pesano di più le restrizioni sociali e il pregiudizio. Ma non basta che gli oppressi si uniscano, serve anche che gli altri, i privilegiati, riconoscano la propria condizione e siano in grado di metterla a rischio per il bene comune.
In tal senso una brillante trovata del film che ha un’eco quasi meta-cinematografica, rappresenta un gioco fatto spesso dai protagonisti che, quando degli amici si allontanano per parlare in privato, imitano le loro voci da lontano provando interpretare quello che potrebbero dire. È qui che il film svela le sue intenzioni, mostrando l’importanza decisiva del mettersi nei panni dell’altro per l’evoluzione dei suoi protagonisti.
Con una regia elegante, briosa ed efficace il giovane regista giapponese (ha solo trentatré anni) ha la capacità di intrecciare con la consapevolezza del veterano le traiettorie di un gran numero di temi e personaggi, mantenendo sempre lo sguardo sull’obiettivo. Happyend è un’opera profondamente sentita e ispirata che ci invita ad accogliere le nostre responsabilità nel trasformarci in parte attiva per un cambiamento che di giorno in giorno diventa sempre più necessario.