Il diciottenne di buona famiglia Harold inscena compulsivamente il proprio suicidio, di volta in volta tramite impiccagione, combustione, recisione dei propri organi con un’accetta, aprendosi lo stomaco facendo harakiri, sparandosi in testa, avvelenandosi e così via. I numerosi ed estremamente coreografici suicidi di Harold sono dedicati principalmente allo sguardo indifferente di sua madre, fredda signora altoborghese che tenta di far rinsavire il figlio provando a maritarlo tramite agenzia, regalandogli un’auto di lusso che Harold trasforma prontamente in un carro funebre, o tentando di instradarlo nella carriera militare.
Ma lo sturm und drang adolescenziale del ragazzo non si sradica facilmente, meno che mai tramite le canoniche ricette di sua madre e le figure reazionarie che lo circondano, tra le quali non mancano, oltre al grottesco zio militare dal braccio reciso, il prete confessore e lo psicoanalista, rappresentazioni speculari e ugualmente castranti e repressive. Ma Harold ignora tutti, e oltre al suicidio, le sue passioni consistono nel partecipare a funerali di sconosciuti e assistere a demolizioni di palazzi.
Proprio ad un funerale conosce Maude, signora sui generis quasi ottantenne, anche lei “imbucata” solo per il piacere di assistere alla lugubre cerimonia. Pur condividendo con Harold la celebrazione di riti crepuscolari come funerali e demolizioni, quella di Maude per la vita è una passione a 360° rivolta ad ogni suo aspetto e ad ogni suo ciclo, dal suo inizio al suo evolversi alla sua conclusione. La signora entra a gamba tesa nell’esistenza del ragazzo come una forza vitalistica e propulsiva, un’attivista senza una causa specifica ma con mille piccole battaglie quotidiane, una rebel without a cause (senza l’ombra del malessere di Dean) che ruba auto per il puro gusto di farlo, sradica alberelli per trapiantarli nella foresta, assiste alla crescita di germogli nelle serre perché le “piace guardare le cose che crescono” e crea peculiari opere d’arte, come il quadro “Arcobaleno con uovo sottostante ed elefante” o l’Odorificio, la macchina che cattura gli odori.
Il secondo lungometraggio diretto da Hal Ashby, il più hippie tra i registi della New Hollywood, è un riconoscibilissimo figlio dello spirito ribellistico della controcultura dell’epoca, che viene però rappresentata con grazia, leggerezza e umorismo, creando una parabola che parte dal malessere adolescenziale del protagonista (rappresentato comunque in chiave satirica e con gusto per il grottesco) e che porta poi all’apertura verso la vita, per questo peculiare coming of age. Il film tra l’altro, come già sottolineato da alcuni critici, ribalta la rappresentazione di Lolita per mostrare una relazione anti stereotipica per eccellenza, dove i ruoli canonici sono scambiati, come a sottolineare che nulla nella vita segue uno statuto e che alla giovinezza ci si arriva come a uno stato interiore, spesso dopo aver superato forti sofferenze.
Rivedendolo in relazione con il titolo successivo diretto da Hashby, L’ultima corvè, Harold e Maude è un film che stupisce perché pur mantenendo il carattere anti istituzionale, picaresco e rivoltoso rappresentativo dei titoli facenti parte della New Hollywood, non ne conserva l’aspetto crepuscolare e malinconico. Se i marinai de L’ultima corvè erano loro malgrado pezzi di un meccanismo malato, Harold e Maude sono ognuno a proprio modo due schegge impazzite, due outsiders non integrabili. Forse proprio a causa di questo tratto di inconciliabilità e di serena alterità al sistema, tanti adolescenti dell’epoca e di oggi hanno fatto di questo film un loro personale simbolo generazionale. A coronamento del tutto, la recitazione al contempo frizzante, iperbolica, maliziosa e delicata di Ruth Gordon, che passa dalla luciferina Minnie Castevet in Rosemary’s Baby alla saggia picchiatella Maude, non senza mantenere il fil rouge di una sottotraccia ironica e anticonvenzionale.