Presentato al Gender Bender Festival, Hello Again di Tom Gustafson è la trasposizione cinematografica dell’omonimo musical di Michael John LaChiusa portato in scena sui palchi off-Broadway all’inizio degli anni Novanta. Tratto dall’opera teatrale Girotondo di Arthur Schnitzler, Hello Again ne conserva la struttura, gran parte dei personaggi e attinge a piene mani ai dialoghi originali, ma al contempo la attualizza in modo fresco ed efficace nella forma e nei contenuti.

L’opera di Schnitzler si sviluppa attraverso una serie di dieci incontri tra coppie di amanti nella Vienna di fine Ottocento. I dieci protagonisti, caratteri archetipici appena abbozzati nelle poche pagine in cui si manifesta la loro esistenza, sono di varia età ed estrazione sociale: la prostituta, il soldato, la cameriera, il giovane signore, la giovane signora, il marito, la ragazzina, il poeta, l’attrice e il conte. Ognuno di loro compare in due quadri consecutivi e l’incontro tra il conte e la prostituta chiude la struttura circolare dell’opera.

Ogni quadro vede i due personaggi dialogare in uno zoppicante scambio di frasi allusive, tentativi di seduzione talvolta impacciati, talvolta estremamente freddi e calcolati. Nonostante reticenze, circostanze sfavorevoli e qualche incidente di percorso, ogni incontro si conclude con l’atto sessuale, che in Girotondo non viene mai descritto: dopo una breve ellissi ci ricongiungiamo con i due che si congedano.

Ad accomunare tutti, indipendentemente da ceto sociale, professione, età e genere, è la ricerca disperata, attraverso l’atto carnale, di un breve istante di felicità, di una tregua dalla percezione nichilista dell’esistenza, l’urgenza del carpe diem. “Chissà se domani saremo ancora vivi!”, dice la prostituta al soldato che tergiversa. “La vita è così vuota, così futile… e poi… così breve… così orribilmente breve! C’è solo una gioia… trovare una creatura dalla quale essere amati…”; qui a parlare è il giovane signore. Ma ad accomunarli è anche la realizzazione finale che l’amore e la felicità non hanno niente a che fare con questi incontri meramente fisici: i due si salutano con distacco, più estranei e soli di prima.

Hello Again sostituisce New York a Vienna e rende il fil rouge di Girotondo ancora più universale, rompendo l’unità di tempo e abbattendo i confini di genere e orientamento sessuale: ogni quadro è ambientato in un’epoca diversa del Novecento, la prostitut Leocadia è interpretata da un uomo, la ragazzina diventa un giovane dalla bellezza efebica (The Young Thing) e il conte una senatrice (una magnetica Martha Plimpton).

Il continuo salto da un decennio all’altro (senza ordine cronologico) permette di costruire una colonna sonora che spazia tra generi musicali diversissimi tra loro, dallo swing degli anni ’20 che proviene da un locale nell’episodio del soldato e la cameriera alla musica dance che The Young Thing balla negli anni ’70, dal doo-wop degli anni ’50 al pop commerciale di inizio millennio dell’attrice-popstar con sintetizzatori, vocoder e con tanto di videoclip parodistico dall’estetica galattico-tribale.

I brani cantati, firmati da LaChiusa e ripresi dal musical teatrale, non sono sempre convincenti e memorabili, ma è forse una scelta ragionata, volta a veicolare anche sul piano sonoro quel disagio, quell’inadeguatezza che connota i protagonisti. Restano impressi il motivo Hello Again, cantato dalla prostituta e poi dalle voci di tutti i personaggi nella scena finale, The Greatest of Adventures, il malinconico brano intonato dalla giovane signora nella vasca da bagno, e l’energica performance dell’infermiera che sottomette il giovane signore.

Hello Again è un musical anomalo, quasi totalmente privo di coreografie, girato perlopiù su campi stretti, con una regia che si fa visibile solo in rari momenti, come quando segue con ironia le indicazioni dello scrittore-regista nell’episodio ambientato negli anni ’70.

È sicuramente riuscito l’esperimento di rappresentare sul grande schermo la vuota, disperata ritualità di Girotondo. A differenza di Schnitzler, Gustafson mette in scena, in modo essenziale e senza mai cadere nel voyeurismo, anche l’atto sessuale (quando avviene, perché in Hello Again qualcuno viene respinto), ma è così profondo il distacco tra i due amanti prima e dopo, che anche l’atto stesso è percepito come freddo e meccanico, quando non goffo e ridicolo. Un film sull’eros senza erotismo.