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“Quest” a Gender Bender 2017

Gender Bender ha scelto di chiudere i battenti della sua quindicesima edizione con un documentario, Quest, tanto forte quanto tenero, per la sua capacità di restituirci l’intima verità della vita di una famiglia afroamericana del Nord di Philadelphia, in 8 anni di pedinamento documentaristico messo in atto dal regista Jonathan Olshefski e da un’intera troupe, che col suo lavoro si è votata anima e corpo a questa missione: filmare la storia dei protagonisti nel tempo reale di quasi 10 anni, dal primo mandato di Barack Obama fino all’ascesa di Donald Trump.

“What He Did” a Gender Bender 2017

Un mistero insondabile si racconta volontariamente e senza filtri a una cinepresa. Tutto qui il fascino ambiguo di What He Did. In poco più di un’ora ripercorriamo la strana vicenda di Jens Michael Schau, dalle campagne danesi dell’infanzia alla grande Copenhagen, dalla scoperta della sua omosessualità al ‘fun’ della scena gay anni ’70, fino alla storia di 13 anni con il celebrato romanziere Christian Kampmann e alla scoperta della vocazione letteraria. Poi le crisi depressive che nel 1988 lo portarono all’omicidio del compagno, i sette anni trascorsi in un ospedale psichiatrico e il rifiuto di uscire in strada per paura di essere riconosciuto.

“Holy Camp” a Gender Bender 2017

Holy Camp ossia campo santo suggerirebbe un film più vicino a La notte dei morti viventi del buon George A. Romero e la sua apertura su una croce mastodontica, ripresa dal basso in obliquo, nel buio di un bosco illuminato solo da neon intermittenti, sembrerebbe fare proprio l’occhiolino a certo cinema horror primi anni ‘70… Scopriremo presto che si tratta invece di un semplice omaggio al grande regista (di cui una delle protagoniste porta pure il cognome) e al suo genere. Il titolo originale della pellicola spagnola di Javier Calvo e Javier Ambrossi, in anteprima nazionale al Gender Bender, è infatti La Llamada, ed è certo più pertinente con la trama del film.

“Beach Rats” a Gender Bender 2017

È un’altra parabola di formazione l’opera seconda di Eliza Hittman, premiata al Sundance 2017 per la regia di Beach Rats. Un coming of age lungo il tempo di un’estate, passata a bighellonare tra Brooklyn e il lungomare psichedelico di Coney Island, con i suoi neon intermittenti, i luna park decadenti e le sale giochi affollate di adolescenti in branchi. È questo l’habitat naturale di Frankie, 19 anni, un padre malato di cancro in casa e una gang di perdigiorno come compagni di sballo e bevute. Ma anche un segreto da nascondere: il sospetto di un’omosessualità latente e ancora incerta.

 

“England Is Mine” a Gender Bender 2017

“England is Mine, and it owes me a living”. L’esordio nel lungometraggio di Mark Gill, già candidato all’Oscar per il corto The Voorman Problem, viene direttamente da un verso di Still Ill, uno dei brani con cui gli Smiths debuttarono sulla scena alternative rock di Manchester nel 1984. Ma, in questo film, degli Smiths non si sente nemmeno una canzone. Perché Gill sceglie di raccontare la vita di Steven Morrissey soffermandosi sugli anni della tarda adolescenza, prima della fondazione della band, e soprattutto perché England Is Mine è un biopic non autorizzato.

“Rebels on Pointe” a Gender Bender 2017

Il lago dei cigni rappresentato tra una pioggia di piume fluttuanti e un cigno che muore in un ripiegarsi teatrale su stesso? Certo, con Les Ballets Trockadero de Monte Carlo tutto è possibile! Quindici ballerini professionisti, diretti dal leggendario ex-ballerino Tory Dobrin, si esibiscono nel pieno rispetto delle regole del balletto classico tradizionale (dunque “on pointe” / in punta di piedi con le loro, in alcuni casi gigantesche, scarpette da punta), ma esagerandone le manie, gli incidenti ed il rigore sino al raggiungimento di un effetto comico, che punta a divertire, con intelligenza, un pubblico sempre più vasto, fatto di uomini, donne e anche bambini.

“Pushing Dead” a Gender Bender 2017

Quando volete assicurarvi che un film vi abbia convinto davvero, al di là della vostra capacità di razionalizzare sui suoi meriti oggettivi, provate a chiedervi “e se fosse l’ultimo?”. Andate col pensiero a quel vicolo cieco (dead end) di cui siamo in ogni momento vagamente coscienti pur tentando di spingerlo (to push) più lontano possibile da noi; avere vicina quell’ora e tre quarti, o due, o tre di immagini in movimento vi dà il giusto senso di serenità? Non serve un film eccezionale, solo un’esperienza pienamente soddisfacente. Per chi ama il cinema non è così raro. Pushing Dead invece è rarissimo, perchè è il film che non solo ha tutte le carte in regola per passare il nostro piccolo test cine(cro)filo, ma vuole farlo.

“Upon the Shadow” a Gender Bender 2017

Chi è Amina Sboui? La foto di Amina Sboui a seno nudo ha fatto il giro del mondo. Una ragazza tunisina di appena 18 anni si mostrava così, con un messaggio tatuato sul corpo: ”Il mio corpo mi appartiene”. Era l’1 marzo 2013 e Amina, pubblicando la sua immagine su Facebook diventava la portavoce del pensiero di un’intera generazione, la sua, quella dei giovani che stavano “agendo” la Primavera araba: reclamando più libertà in un paese tenuto in pugno dagli integralisti islamici.

“A Quiet Passion” a Gender Bender 2017

L’adagio è noto: portare sullo schermo le vite di scrittori e letterati è impresa sdrucciolevole e destinata al fallimento, figuriamoci poi se si parla di poeti. La lirica eccede per definizione la norma linguistica, e le immagini rischiano di ridursi alla tautologia, al doppione inerte della parola. Ci sono riusciti, tanto per dire, due come Pablo Larraín (Neruda) e Jane Campion (Bright Star), e ci prova Terence Davies che, dopo essersi cimentato già nel 2001 con un adattamento radiofonico di Le onde di Virginia Woolf, concepisce un ambizioso biopic sulla poetessa americana Emily Dickinson.

“Hello Again” a Gender Bender 2017

Presentato al Gender Bender Festival, Hello Again di Tom Gustafson è la trasposizione cinematografica dell’omonimo musical di Michael John LaChiusa portato in scena sui palchi off-Broadway all’inizio degli anni Novanta. Tratto dall’opera teatrale Girotondo di Arthur Schnitzler, Hello Again ne conserva la struttura, gran parte dei personaggi e attinge a piene mani ai dialoghi originali, ma al contempo la attualizza in modo fresco ed efficace nella forma e nei contenuti.

“Signature Movie” a Gender Bender 2017

Il cuore che batte in Signature Move è quello della sceneggiatrice/protagonista Fawzia Mirza, canadese di origini pakistane, lesbica, alle spalle due noiosi anni di avvocatura e poi stand-up comedy, televisione, infine cinema. I monologhi del suo show Me, my Mom and Sharmila sulla percezione dell’omosessualità in medio oriente, la satira di The Muslim Trump Documentary in cui si reinventa ipotetica figlia pakistana di Donald Trump, la sua esperienza di vita confluiscono qui in un racconto che tradisce il dato biografico solo lo stretto indispensabile per darle un personaggio in cui proiettarsi.

“After Louie” a Gender Bender 2017

Prende avvio la 15a edizione del Gender Bender, e le danze si aprono con After Louie di Vincent Gagliostro, già presentata al London LGBT Film Festival. Quest’opera prima dal piglio sicuro comincia proprio laddove terminava 120 battiti al minuto di Robin Campillo, con la breve parentesi amorosa tra Sam, cinquantenne ex attivista di Act Up, e Braeden, che ha una relazione aperta con il compagno sieropositivo. Ma Sam ha 55 anni e Braeden “quasi 30”, Sam abita in un attico di Manhattan e Braeden in un monolocale di Brooklyn e, soprattutto, Sam ha vissuto sulla propria pelle tutte le battaglie civili dell’associazionismo gay newyorkese, e non può credere che la generazione successiva alla sua sia così ripiegata nel privato, placidamente disinteressata, indifferente ed esclusa rispetto a una comunità LGBT ormai disgregata.