Il regista cileno Raul Ruiz ha scritto che il cinema di Powell e Pressburger è caratterizzato da un continuo “débordement” (straripamento) e da una “photogénie, truth for lie et lie for truth” che rende i loro film ingannevoli e fuorvianti. Guardando His Lordship, diretto dal solo Powell nel 1932, sette anni prima dell’inizio del sodalizio professionale con Pressburger, si possono già cogliere le due caratteristiche invocate da Ruiz, pur nella differenza del contesto produttivo ed artistico.
Il film è infatti ancora legato al sistema dei quota quickies, tipico della produzione cinematografica del Regno Unito degli anni 30 e che puntava sulla velocità di realizzazione per massimizzare i contributi governativi riservati alla quota di film britannici prodotti: solo nel 1932 Powell girò altri sei film oltre a His Lordship, recentemente rimasterizzato in 4K dal British Film Institute.
La veloce produzione in serie e il fatto che film come His Lordship siano stati a lungo ritenuti persi per sempre li ha consegnati ad un lungo oblio critico. Nel caso specifico, inoltre, l’accoglienza dei recensori all’uscita del film era stata pessima: His Lordship fu addirittura additato come esempio del danno artistico e reputazionale che il sistema delle quote stava causando al cinema inglese.
Stampa e pubblico furono concordi, stando ai resoconti che vogliono la prima al Dominion di Londra interrotta dai fischi degli spettatori. Possiamo spiegarci questo non scontato accordo facendo riferimento alle caratteristiche menzionate da Ruiz che descrivono bene il disorientamento a livello di aspettative di genere e di narrazione che il film può indurre.
“Sua Signoria” del titolo è Bert Gibbs, un idraulico cockney che, per paura di essere lasciato, non vuole rivelare il suo nobile lignaggio alla fidanzata Leninia, il cui nome esprime già idealismo rivoluzionario e avversione ai privilegi ereditari. Quando due improbabili militanti bolscevichi rivelano il segreto di Bert, l’idraulico si trova inoltre coinvolto in un falso progetto di matrimonio con Ilya Myona, una star hollywoodiana bisognosa di pubblicità per un rilancio di carriera. La trama è quindi quella di una commedia degli equivoci.
Eppure la regia di Powell opera uno straripamento delle convenzioni del genere in modo da produrre una satira del classismo britannico e, anticipando le future scelte artistiche di I racconti di Hoffmann (1951) e Oh . . . Rosalinda (1955), inserisce nella narrazione numeri musicali sorprendenti non solo, in questo caso, per lo straniamento narrativo ma anche visti i limiti di tempo e budget.
Questa difficoltà di imbrigliare il film in un genere definitivo esprime formalmente l’elemento di inganno del film, tematizzato in ogni situazione e personaggio: dalla nobiltà negata di Bert ai due falsi bolscevichi che ostentano pure una falsa discendenza inglese, dalla stella hollywoodiana che recita anche nella vita vera fino ad organizzare un matrimonio falso allo stesso lieto fine del film.
Quest’ultima scena è una delle più significative per lo stato di ambiguità del film: Bert e la sua amata Lenina si riconciliano nel parco e passeggiano verso un sicuro, futuro matrimonio mentre Ilya convola, letteralmente, a nozze con il suo Lord Thornton-Heath a bordo di un aereo privato. L’idillio tra Bert e Lenina è, tuttavia, disturbato dall’indugiare dello sguardo dell’idraulico su una delle foto pubblicitarie e ammiccanti di Ilya che piovono dall’aereo e su cui si pianta, in modo inquietante, il bastone del custode del parco.
Sia lo sguardo troppo compiaciuto di Bert, sia il piantarsi del bastone sull’immagine di Ilya come a trafiggerla e ucciderla simbolicamente non lasciano presagire un futuro tranquillo.