Un’auto in che attraversa la campagna spoglia e gelida. Una nave in un mare grigio e le onde che si esauriscono sulla sabbia di un litorale deserto. Sono alcune delle immagini con cui il cineasta francese Stéphan Brizé apre Hors-saison, film che segna suo il ritorno al dramma sentimentale dopo essersi dedicato nei suoi ultimi lavori alla rappresentazione delle lotte operaie odierne.

Brizé ripone l’ascia e placa lo spirito incandescente che ardeva in film come In guerra o Un altro mondo, per delineare sin dalle prime battute un clima mite e intriso di malinconia, in cui un noto attore (Guillaume Canet) raggiunge una piccola città costiera per fuggire alle pressioni della sua quotidianità. Una vacanza “fuori stagione” che denota non tanto la convenzionale ricerca dello svago che anima le località turistiche, ma la necessità di trovare un angolo di pace in cui potersi immergere in sé stessi e porsi a distanza di sicurezza da paure e fallimenti.

Il soggiorno si rivela essere però anche un viaggio nel passato, in seguito al casuale incontro con l’ex compagna (Alba Rohrwacher) che porta al dissotterramento di traumi insabbiati da tempo, ma anche di emozioni persistenti e taciute. È infatti il silenzio la figura monolitica che troneggia su gran parte delle sequenze, talvolta sfumato nel placido accompagnamento della colonna sonora, altre cadenzato da dialoghi flebili, appena sussurrati, e pregni di intensità.

Brizé utilizza il silenzio come fosse l’unico strumento in grado di esprimere sensazioni altrimenti impossibili da percepire. Concentrandosi sui gesti impacciati e sulle espressioni in risposta a domande lasciate in sospeso, le parole taciute trovano la capacità di comunicare ciò che non viene detto ma che risulta immediatamente percepibile sotto al delicato strato epidermico dei fotogrammi. Sono quindi gli attimi di attesa, di trepidazione per la speranza di un contatto o di uno sguardo, ad animare un film che lacrima di rimpianto ma senza mai esondare dall’argine della tenerezza per trasformarsi in tragedia.

Hors-saison è una dolce ballata che contempla l’importanza del sapersi ritrovare, la vitale capacità di che spinge a confrontarsi con il passato per non dimenticare chi si è stati e quindi rendersi conto di chi si è nel presente. A tale scopo, Brizé si pone ad una distanza ravvicinata rispetto ai suoi personaggi, ne intercetta i particolari, si sofferma su azioni all’apparenza superflue per rivelarne il carattere e portare alla luce intenzioni e volontà a tratti discordanti.

Il risultato è inevitabilmente un’esperienza filmica stratificata, in cui stati emotivi differenti si sovrappongono per dimostrarsi affatto inconciliabili fra loro. Un’opera in grado di suscitare un greve senso di vuoto, come lo si può provare passeggiando su una spiaggia deserta in pieno inverno, ma anche un’inebriante scossa ricostituente come una sferzata di vento gelido, carico di umidità e salsedine.

Hors-saison è un film il cui fascino non si esaurisce nelle immagini, ma diviene materia percepibile che si sedimenta con grazia senza arrivare ad appesantire. Tecnicamente rigoroso e calibrato, l’ultimo lavoro di Brizé percorre la via della semplicità per insinuarsi nel profondo e rivelare verità articolate. Uno scorcio malinconico e al contempo premuroso nell’infondere un senso di calore, come un raggio di sole che in pieno inverno riesce ad aprirsi un varco nella coltre di nubi per baciare la terra.