Un film leggendario, considerato perduto fino al 1938, poi a lungo fruibile solo in copie mediocri. Thaïs è una pietra miliare della storia del cinema muto italiano, la cui estetica e ricerca formale ne fanno un antesiniano del cinema d'avanguardia francese e russo, nonché, per certi aspetti, dell’espressionismo tedesco. Composto originariamente da cinque atti (quello centrale è andato perduto), grazie al restauro di Cineteca di Milano e Cinémathèque française, è possibile godere della copia parzialmente imbibita con didascalie francesi, di cui si sono recuperati i colori originali degli ultimi tre atti.
Anton Giulio Bragaglia, aderente al movimento futurista e sperimentatore di tecniche fotografiche e cinefotografiche, insieme ai fratelli Arturo e Carlo Ludovico gira nel 1917, oltre a Thaïs, tre film - Un dramma dell’Olimpo, Il mio cadavere e Perfido incanto -, tutti perduti, per la Novissima Film di Emidio De Medio. La Novissima ha sede a Roma in due teatri di posa della "De Medio e Cerrina" ubicati nei pressi della Appia Nuova. Secondo alcuni, Bragaglia figurerebbe semplicemente come supervisore di scena e non come regista, ruolo che invece sarebbe stato affidato a Riccardo Cassano (accreditato come soggettista e assistente alla regia) noto per film di sapore decadentista come La tartaruga (1917) e L’ultimo cognac (1917). In ogni caso cruciale in Thaïs è l'apporto delle scenografia Enrico Prampolini, artista poliedrico fra i massimi esponenti del Futurismo. I suoi contatti con Kandinskij, Mondrian e il De Stijl si traducono negli interni in stile Art Deco, geometrico e onirico, che fanno da sfondo alle sequenze più impressionanti a livello di interpretazione e di sviluppo del personaggio di Thaïs.
Thaïs Galitzy/Vera Preobrajenska/Thaïs è tante cose nello stesso momento. Una cacciatrice di uomini, una contessa, un’amica fedele, una ballerina, un’artista. Ha pochissimo in comune con il personaggio del romanzo Taide (1890) di Anatole France da cui sono stati tratte tre trasposizioni cinematografiche tutte intitolate Thaïs: la prima di Louis Feuillade (1911), una seconda di Constance Crawley e Arthur Maude (1914) e infine quella di Hugo Ballin e Frank Hall Crane (1917). Bragaglia fa di Thaïs una donna spietata e senza scrupoli che alla fine si lascia sopraffare dal rimorso in uno dei finali (e delle morti) più spettacolari della storia del cinema muto italiano. Con i colori ritrovati che virano dal giallo fino al rosso, la presenza di fumo mortifero e trappole fatali, gli interni e i meccanismi creati da Prampolini prendono vita, si animano, opprimono l’essere umano e stroncano senza possibilità di scampo la vita di Thaïs. Thaïs è e rimane un film dall’innegabile valore estetico, storico e simbolico anche più di cento anni dopo.