Siamo a Parigi, negli anni Ottanta. Il decennio si è aperto con la storica entrata nell'era Mitterand, ma è solo nel 1984 che inizia il nostro racconto, quando Élisabeth si ritrova sola, lasciata dal marito, a crescere due figli adolescenti. Non ha mai lavorato fuori casa, teme di non essere capace di far nulla e nel curriculum vitae potrebbe affermare con sicurezza solo di “essere sensibile”. Eppure è proprio questo coraggio della propria debolezza a suscitare la fiducia della speaker radiofonica che riempie le sue notti insonni, quando decide di assumerla nello staff del programma.

Di lì molte cose succederanno negli anni, in questo Passeggeri della notte di Mikhaël Hers, presentato a Berlino 2022 e con protagonista quasi assoluta la perennial Charlotte Gainsbourg. Ci saranno una sorta di adozione inaspettata, come già nel precedente film del regista (Quel giorno d'estate, 2018), ma anche argomenti ben più perniciosi come il cancro, la tossicodipendenza, la difficile ripartenza lavorativa e sentimentale dopo un divorzio. Eppure tutti portati in scena con lo stesso tono di voce che Gainsbourg dà al suo personaggio: pacato, trattenuto, quasi un soffio.

Hers ha affermato di aver voluto raccontare “la grazia della vita quotidiana”. E la vita vera non ha scene madri, non ha storyline centrali. Le parabole personali si costruiscono man mano in una moltitudine di tentativi, pressoché mai in pochi snodi essenziali. Gli esseri umani si struggono per il passato e il futuro, ma alla fin fine esistono solo nel presente. Ognuno si sente al centro del proprio romanzo, ma la moltitudine di finestre dei giganteschi palazzi del XV arrondissement dove Élisabeth e la sua famiglia abitano è lì a costante memento dell'infinità di storie analoghe a quelle dei nostri protagonisti.

Gli anni Ottanta vengono restituiti da Hers accostando differenti grane e formati in maniera molto libera, utilizzando anche immagini d'archivio e riprese ex novo volutamente imperfette con una fotocamera Bolex, senza darsi alcuna pena di uniformità tecnica, ricreando il periodo con naturalezza, all'impronta. Non mancano qua e là degli omaggi: il più evidente è quello a Le notti della luna piena di Éric Rohmer, scoperto per sbaglio dai protagonisti adolescenti e subito amato, ma da un filmato d'epoca fa capolino anche Jacques Rivette, ripreso in metropolitana da Claire Denis.

È leggero come una piuma Passeggeri della notte, e ciò è probabilmente il suo più grande pregio e il maggior difetto al contempo. Forse per lo spettatore non si tratterà di una delle esperienze più decisive mai vissute sul grande schermo, eppure resta nella mente come riuscito tentativo di dare lode e gloria alle persone normali, che in qualche modo riescono a farcela. A essere felici, s'intende.