Ricostruendo liberamente lo scandalo omosessuale del “ballo dei 41” che, all’inizio del Novecento, turbò la stabilità del regime di Porfirio Diaz, il regista David Pablos colloca questo evento a lungo censurato al centro, non solo della storia sociale messicana, ma anche della sua tradizione popolare cinematografica e televisiva. A cominciare dal cast di attori protagonisti di serie messicane di successo, Il ballo dei 41 utilizza infatti convenzioni da telenovela per veicolare un messaggio queer di rifiuto della naturalità delle identità di genere in favore della loro performatività, ovvero del loro essere, per utilizzare le parole di Judith Butler, “imitazioni senza gli originali”. Nella narrazione meta-filmica e meta-storica di Pablos, genere è da intendersi sia come stile corporeo che cinematografico: categoria fondamentale per riscrivere una Storia chiusa negli archivi nazionali ed esibire finalmente anche il corpo maschile come oggetto di desiderio.

Ignacio de la Torre è un ricco proprietario terriero che sposa Amada, india e figlia naturale del Presidente Diaz, provando a mettere da parte i suoi desideri omosessuali in favore di una rapida ascesa politica. Nominato parlamentare in seguito al matrimonio, tuttavia, Ignacio si innamorerà presto del suo assistente Evaristo e lo introdurrà al proprio club segreto di altri 41 omosessuali. Durante il ballo del titolo, l’evento annuale più importante per il club, la polizia farà irruzione arrestando tutti ma rilasciando Ignacio su espresso ordine del presidente. La vita coniugale sarà la vera condanna per Ignacio.

Sono tante le convezioni sia tematiche che stilistiche che Pablos, già autore di film come La Vida Después (2013) e Las Elegidas (2014) all’intersezione di autobiografia, documentario e impegno civile, prende dalle telenovelas. Tematicamente, l’amore contrastato, naturalmente, ma anche i dissidi famigliari tra l’esotica e non conformista Amada e la sorella, figlia legittima ma meno amata del Presidente, nonché i conflitti generazionali e di classe. Stilisticamente, un certo barocchismo negli interni e l’enfasi di alcune battute. Significativamente, tuttavia, l’amore contrastato è quello tra due uomini, che non si conformano alle aspettative sociali rispetto ai loro ruoli, nemmeno quando queste vengono dai membri del loro stesso club: “Non è prudente comportarsi come se foste marito e moglie”, Don Felipe avverte Evaristo. Anche questa stessa definizione risulta comunque impropria: non ci sono ruoli predefiniti per Ignacio e Evaristo.

Se inizialmente è quest’ultimo ad assumere il ruolo di passivo e di archetipa prima donna tentatrice tanto da essere rinominato “Eva” in una scena immersa in un lussureggiante Eden, sarà infine Ignacio a indossare abiti femminili al ballo, decostruendo l’articolazione binaria di maschile/femminile attivo/passivo legittimata dalla narrazione eterosessuale. Il ballo finale dei 41 è speculare a quello iniziale del fidanzamento di Ignacio e Amada e ne smonta le implicazioni di genere, sempre nella doppia accezione di identità sessuale e cinematografica. La stessa Amada, il cui nome implica passività, trasgredisce le aspettative di genere iniziando i rapporti sessuali con il marito e definendosi in termini quasi maschili: “Non conosci un’altra donna che sa pulire, caricare e sparare un fucile come faccio io”.

Ai finali ottimisti della tradizione televisiva messicana, convenzione consolatoria per ripagare le masse popolari delle ingiustizie sociali della vita reale, la macchina da presa di Pablos oppone l’indignazione per le vite negate e per i diritti calpestati dal regime di Diaz, invitando i messicani a riscoprire questa pagina della loro storia. La forma sostiene qui mirabilmente il contenuto: lunghi piani sequenza inseriscono i personaggi nel loro milieu sociale, seguendone i movimenti quasi a spiarli per carpirne i segreti e concludendosi spesso con intensi primi piani per comprendere la loro condizione psicologica.