Estate, tempo di noia e di occasioni. Non per Leon il quale deve consegnare a giorni il suo secondo romanzo all'editore. La quiete della casa nel bosco vicino al Mar Baltico in cui soggiorna assieme all'amico Felix lo rende un luogo ideale in cui poter concentrarsi per scrivere, rileggere, correggere. Ma nella stanza accanto una donna gode. È Nadja, la nipote di un collega della madre di Felix, che se la spassa col bagnino Devid.

“Questo vuoto che circonda le persone l'avete creato voi con i vostri oggetti” commentava un critico al pittore Daniel nel prologo della Collezionista di Rohmer. Anche il Leon con la sua arte vuole distanziarsi dal mondo, descriverne l'essenza per separarsene. Con diffidenza ascolta le storie di Devid, con timore si approccia alla bella Nadja. Li guarda da lontano, dalla finestra, mentre giocano a racchette. La vita è quella cosa descritta nel suo romanzo o è là fuori, quell'occasione pronta a essere colta?

Da buon romantico per Leon scrivere è un modo per dare ordine al caos, per sfidare il caso, per padroneggiare la realtà. Eppure sembra anche lui essere conquistato dalla noia. Lo si vede in continua dormiveglia, come se ciò che vediamo sia un tempo sospeso tra le sue dormite. Il suo sguardo è appesantito per aver divorato la realtà. Neanche s'accorge di ciò che gli sta attorno. Nella stanza accanto qualcuno gode. Ma Nadja dorme nel divano vicino a lui. Sono Felix e Devid che colgono l'occasione di un'estate.

In confronto al modello rohmeriano, lo sguardo spettatoriale rimane sempre leggermente laterale rispetto a quello del protagonista. Assiste al suo sonnambulismo ma con divertita ironia. Secondo Montaigne il compito di un artista non è descrivere l'essenza delle cose ma l'oscillazione tra le cose. È un passaggio in esergo a un saggio di Werner Hamacher sul terremoto della rappresentazione in von Kleist, saggio a un certo punto citato da Nadja all'editore di Leon. Anche lo spettatore prova questa oscillazione e piano piano inizia a rendersi conto che davanti non ha la diretta espressione di un'esperienza, ma una pentita rimemorazione.

Non è semplicemente la presa di coscienza di un soggetto, ma uno spostamento di sguardo che riguarda tutti i personaggi. La foresta di Waldhut è a rischio di incendio. Ma dista 30 chilometri dalla loro casa, non c'è da preoccuparsi. Ora il cielo è rosso, un incendio è scoppiato a Marlow, ma tanto il vento spira in direzione contraria. Piove cenere dal cielo, scatta l'allarme per tutta la zona, ma bisogna risolvere prima le nostre piccole questioni personali.

Nella catastrofe finale il terremoto della rappresentazione di Il cielo brucia permette l'oscillazione dello sguardo da quello egocentrico del protagonista a quello più “leggero” ma altrettanto indifferente rispetto al mondo degli altri personaggi. È lo sguardo antropocenico che pensa ancora di poter decidere a priori sulla realtà e inizia a interessarsene solo quando si è toccati da vicino, quando è troppo tardi.

Ogni decisione rispetto al caso ora si tinge di tragedia. Anche per chi pensa di essere in una disposizione di apertura alla vita, la vita continua a rimanere là fuori, in un perenne fuori campo. Ciò che rimane però è pur sempre un'altra occasione: cogliere un'istante di illuminazione, un “raggio verde”, un mare che brilla, un'oscillazione dello sguardo, e darne testimonianza.