Abituati come siamo oggi ai salti dimensionali financo parossistici nei multiversi del cinema contemporaneo, fa un po’ sorridere ripensare ai film che nei decenni passati hanno messo in scena il passaggio a un singolo piano ontologico alternativo, dalla realtà ‘vera’ a: e ci potete mettere un mondo fantastico, onirico (o d’incubo), il passato, una dimensione ectoplasmatica…
C’è un momento del film di Wolfgang Petersen La storia infinita (tratto dal libro omonimo del tedesco Michael Ende, stampato in bicromia per sottolineare proprio i due piani di ‘realtà’ in cui la storia si svolge) che, da ragazzina, al cinema, mi lasciò di stucco. Amai tutto il film, a dire il vero, i suoi animali fantastici predigitali, gli effetti laser alla Star Wars delle Sfingi, il Nulla che oscuro avanzava. Mi inquietarono gli occhi di Gmork, mi disperai per il povero Artax inghiottito dalle Paludi della Tristezza e m’invaghii persino di Atreyu, la cui immagine ritagliai da qualche rivista per attaccarla al mio diario. Ma il culmine il film lo raggiunse nel finale, quando l’Imperatrice dalla Torre d’avorio mi guardò dritta negli occhi. Chiamava Bastian ma guardava me!
A nove anni, in una sala della provincia italiana di metà anni Ottanta, con Fantàsia a rischio distruzione, vi assicuro che faceva una certa impressione. L’interpellazione diretta dello spettatore era lo stratagemma linguistico che annunciava il salto ontologico: il tenero Bastian, che fino ad allora era stato semplice lettore e narratore extra-extradiegetico del racconto, entrava in prima persona nell’avventura, ne diventava l’eroe e anche se di Fantàsia non restava che una briciolina, bastava per sancirne la salvezza. Di riflesso, essendo il regno un’emanazione della fantasia umana, la rinnovata fiducia di Bastian nei propri sogni poneva un argine al Nulla, che altro non era che “il vuoto che ci circonda, la disperazione che distrugge il mondo”.
Aggiungiamo che Ende, interrogato sul senso del proprio romanzo, ebbe a dire: “È la storia di un ragazzo che in una notte di crisi esistenziale, perde il suo mondo interiore, il suo mondo mitico, che si dissolve nel nulla, e lui deve saltare in questo Nulla, così come dobbiamo farlo anche noi europei. Siamo riusciti a perdere tutti i valori e ora dobbiamo saltarci dentro, e solo se abbiamo il coraggio di saltarci dentro, in questo nulla, potremo risvegliare le forze creative più profonde e costruire una nuova Fantàsia, cioè un nuovo mondo di valori”.
Senza approfondire il fatto che il libro era uscito nel 1979, in piena Guerra fredda e con la Germania ancora divisa, possiamo senz’altro affermare che la celebrazione del potere dell’immaginazione si lega a una critica alla società dei consumi. Con una frecciatina, il film aggiunge la rivendicazione che Bastian è un reader e non un player, non gioca ai “videogiochi” come insinua il libraio del negozio in cui s’intrufola per sfuggire ai compagni di scuola che lo bullizzano (e che sicuramente, loro sì, giocano ai videogame).
Stesso anno, 1984. Esce Nightmare – Dal profondo della notte, capitolo fondativo, diretto da Wes Craven, della fortunata saga che produrrà altri otto film e un’icona indelebile del genere, Freddy Krueger. A voler essere molto vaghi e imprecisi potremmo dire che la trama è la stessa di La storia infinita. Un gruppo di adolescenti della provincia americana scopre che attraverso i sogni (qui più ‘materialisticamente’ incubi veri e propri scaturiti durante il sonno) si accede a una realtà altra, stavolta terrificante, in cui un serial killer mette in atto la sua vendetta contro i figli dei concittadini che a suo tempo lo avevano ucciso.
Il problema essenziale, che i protagonisti scoprono presto a proprie spese, è che il confine tra la realtà e il sogno è poroso, che le azioni fatte in una dimensione hanno ripercussioni anche sull’altra e che, con il sonno come twilight zone di passaggio, si possono trasformare i sogni in realtà. Con esiti quanto mai micidiali, come per il povero Johnny Depp, qui al suo esordio sul grande schermo, inghiottito nel suo stesso letto non a caso insieme a un televisore tenuto vicino per rimanere sveglio. Un paio d’anni prima, per restare al genere horror, proprio un televisore aveva rappresentato la soglia d’accesso tra la realtà e una sorta di mostruoso aldilà dove rimaneva intrappolata la piccola di Poltergeist – Presenze demoniache (1982).
In questi esempi siamo naturalmente all’interno di sistemi di genere codificati come il fantastico, l’horror o la fantascienza – perché anche i viaggi nel tempo di Terminator (1984) e Ritorno al futuro (1985) sono in fondo passaggi a una realtà altra (pur collocata sulla medesima linea temporale) e le trame ruotano appunto intorno alla possibile influenza di una sull’altra (il celebre ‘paradosso del nonno’) con la conseguente produzione di universi paralleli.
Eppure, pur proseguendo una tradizione narrativa che possiamo far risalire almeno al carrolliano Alice nel paese delle meraviglie, qualcosa è cambiato. Non si tratta più di un sogno. È interessante notare che all’altezza degli anni Ottanta quella che si dovrebbe chiamare realtà inizia a sgretolarsi, i confini del reale si fanno sempre più labili e incerti. Che sia una risposta all’evoluzione tecnologica della società, alla penetrazione dei media nella quotidianità, della progressiva e vertiginosa virtualizzazione dell’esperienza umana è tutto da dimostrare.
Ma se prima viaggi nel tempo, passaggi di dimensione, accessi nell’aldilà prevedevano sempre il ritorno a una realtà certa, data, incontrovertibile, quella realtà ha iniziato a vacillare. Non a caso negli anni Novanta l’abbiamo poi vista moltiplicarsi, biforcarsi, persino smaterializzarsi nel codice di Matrix, e oggi, in film come Everything Everywhere All at Once o Spider-Man: Across the Spider-Verse, non c’è più nemmeno una gerarchia delle realtà, perché ‘la realtà’, posto che esista, ha perduto la sua centralità nell’infinita moltiplicazione dei mondi paralleli del multiverso.
Ultimo piccolo salto indietro. Il 1985 è anche l’anno di La rosa purpurea del Cairo di Woody Allen, dove la realtà questa volta si mescola con la finzione cinematografica. Certo, direte voi, ma l’aveva già fatto Buster Keaton nel 1924. Vero, ma non c’è più l’elemento del sogno. Perché, direbbe Freddy Krueger, è iniziato l’incubo.