“In quell’enorme zanzariera che è la valle del Po, tra Parma e Mantova” […]. Fra un popolo facile ad accalorarsi, travagliato e pieno di una sinistra inclinazione musicale” (Bruno Barilli, 1930), rivive la presenza di Giuseppe Verdi sotto forma di mito, sogno, visione, grazie all’immaginazione di un adolescente. Mateo Zoni fa incontrare, in un racconto visionario, la vita del giovanissimo Giacomo Anelli con quella del grande musicista. Presentato ad ottobre in prima mondiale alla terza edizione del Festival internazionale del documentario Visioni dal Mondo, Immagini dalla Realtà, a Milano, Il Club dei 27 è la storia del sogno impossibile di un ragazzo che si fa pretesto per una scrittura originale della storia di Verdi e della sua musica.

La vicenda reale di Giacomo Anelli nel documentario di Mateo Zoni è soggettivizzata, modellata per acquisire sembianze diaristiche, liriche, autoriflessive ma anche in grado di ospitare una densità saggistica, attraverso la rielaborazione di immagini di repertorio e materiali d’archivio. Il Club dei 27 inizia il racconto della passione di Giacomo per Giuseppe Verdi ricordando i momenti dell’infanzia in cui il nonno gli faceva ascoltare Pavarotti: “all’inizio sembrava uno che urlava” ma giorno dopo giorno gli era entrato nella testa. Ad undici anni Giacomo, che ascolta la musica di Verdi dall’età di due anni, desidera fortemente entrare nel Club dei 27. Il Club è un gruppo di appassionati verdiani, fondato a Parma nel 1958, costituito da ventisette associati, ognuno dei quali porta il nome di un’opera di Verdi. Proprio come il melodramma, che per Luchino Visconti si colloca “ai confini della vita e del teatro”, il racconto del film si muove in modo camaleontico fra documentario e fiction, in cui si alternano e si confondono la vita di Giacomo e quella di Verdi, che il protagonista crea attraverso i sogni e la fantasia.

Contemporaneamente la vita artistica del compositore viene celebrata dai filmati conservati nell’Archivio Luce e dalla colonna sonora costituita da contributi audio provenienti dall’Archivio del Teatro Regio di Parma. Realtà e finzione si sostituiscono l’una all’altra poiché Giacomo interpreta differenti ruoli oltre a quello di Giuseppe Verdi. Nei panni di se stesso esprime ammirazione per il grande compositore (“era un agricoltore che dava voce al popolo”); in sogno presenta un’opera di Verdi in teatro (“io sono il prologo”) e invita il pubblico a lasciarsi trasportare; cita le parole del maestro (“non è possibile trovare un luogo più brutto”) facendo da guida a un gruppo di turisti che visita la casa del musicista a Sant’Agata.

Se il desiderio di Giacomo è irrealizzabile a causa della giovane età, non altrettanto si può dire dell’ambizione ideale del film. Le immagini provenienti dagli archivi mostrano il popolo che affolla i teatri e la costruzione di un palco per l’opera lirica all’aperto. Il club dei 27 accosta dunque le modalità di fruizione della musica nel passato alla passione di un ragazzo per suggerire la grande capacità potenziale che la bellezza dell’arte ha oggi esattamente come allora. I giovani sono in grado di recepire emozioni molto diverse da quelle solo più superficialmente a portata di mano. Il piccolo protagonista ne è testimone concreto e la storia della sua vita è un’esortazione a non credere quella apparente come l’unica realtà possibile. Infatti Giacomo distoglie i suoi coetanei da una partita di calcio appoggiando sul campo un piccolo registratore da cui proviene la musica di Verdi. L’ascolto in silenzio e l’emozione sui volti rappresentano il compimento simbolico di una fascinazione che può rinnovarsi nel tempo.

 

 

Gisella Rotiroti