Un film insolito Il diavolo in calzoncini rosa, l’unico western, nella oceanica filmografia di George Cukor (cinquant’anni da regista e più di sessanta film all’attivo), autore frequentemente etichettato come “regista di donne” o “della buona società”, dedito alla commedia di costume o al dramma sentimentale, sicuramente regista non “di sceneggiatura”, ma piuttosto molto attento alla “mise- en-scène”.

In questo caso Cukor mette la sua anima di esteta al servizio di un genere che potrebbe sembrare agli antipodi della sua ispirazione classica, trovando la giusta mediazione tra il suo mondo patinato e melodrammatico e lo scenario ben diverso fatto di fuorilegge, sceriffi indiani e cowboy, polvere, fango e tanti cavalli, insomma frontiera e conquista del West. La mediazione è ottenuta raccontando la storia di una compagnia teatrale girovaga che attraversa il west indenne tra minacce di indiani (che sembrano più desiderosi di mettere le mani sui lussuosi abiti di scena piumati che altro) e la scorta di mercenari cowboy.

Cukor non rinuncia a mettere in scena la bellezza femminile (grazie ai cambi d’abito vistosi e scintillanti di una Sophia Loren biondissima e boccolosa, nonché parecchio ammiccante), lo sfarzo delle quinte teatrali addobbate per improbabili rappresentazioni mitologiche (le avventure di Elena di Troia in salsa boccaccesca), e alcuni siparietti chiaramente sensuali e dalla mal dissimulata funzione erotizzante della neo diva Loren.

Il più esilarante di tutti va citato a onor di cronaca: durante una delle rappresentazioni della compagnia in una contea nota per il perbenismo dei suoi abitanti, lo spettacolo su Elena di Troia viene sostituito con un altro in cui Sophia recita una parte maschile, salvo scoprirsi poi essere una “guerriera” ed essere “punita” con una memorabile cavalcata legata al cavallo come un salame, in posizione supina, con il pubblico in visibilio che urla frasi del tenore di “What a ride!”. Inutile sottolineare anche l’effetto posticcio del fantoccio utilizzato per girare la scena. Un vero e proprio apice di erotico kitsch, che, crediamo, valga tutto il film intero.

Insieme a questi particolari c’è da sottolineare la lo spessore d’attrice di Sophia Loren che riesce a rendere credibile qualunque personaggio le si affidi, anche in un west patinato come questo di Cukor, e soprattutto al fianco di una spalla forte e rocciosa come quella del possente Antony Quinn. Una strana triangolazione ci porta a sentire un legame interessante tra questo film (del 1960), Selvaggio è il vento (1957) e La Ciociara (1960).

Ad accomunare le tre pellicole sono le frequentazioni e i rimpalli produttivi tra George Cukor e due delle nostre maggiori star femminili, Sophia appunto ed Anna Magnani. Infatti dopo l’esperienza di gran successo di Selvaggio è il vento Cukor avrebbe voluto coinvolgere Anna Magnani in un altro progetto e in quegli anni era stato chiamato da Paramount e Carlo Ponti per girare la Ciociara dal romanzo di Moravia. Cukor insistette parecchio per convincere Anna Magnani ad accettare il ruolo della madre, mentre avrebbe visto bene Sophia nei panni della figlia. Cukor andò a Roma a presentare il progetto alla Magnani che aveva letto il libro, ma non voleva sentirne di fare la madre se Sophia faceva la figlia. “E’ troppo alta disse a Cukor come vuoi che faccia sua madre se devo alzare la testa per parlarle?”. Alla fine senza la Magnani Cukor non fu più interessato a dirigere il film, e sappiamo come andò a finire. Ma, di fatto, le sue incursioni con star italiane non si fermarono a questo progetto irrealizzato. E ci portarono invece a questo western (inedito) che fu poi anche l’unico di Sophia.

Scrisse un collega su Segnalazioni cinematografiche nel 1961: “Se esistesse un antiquariato del West, questo film offrirebbe più di un motivo d'interesse, ma poiché non esiste dobbiamo limitarci a considerare le arditezze scenografiche e di arredamento come parti di fantasia e nulla più. La scenografia, barocca e opulenta, e in quanto tale funzionale, rimane comunque l'elemento di maggior interesse di quest'opera di Cukor, un western condotto a ritmo di balletto, che mescola abilmente e stranamente violenza (ed altri elementi tipici del genere) e romanticismo. Buona l'interpretazione".