Lo sceicco Harun Al-Rashid, lo zar Ivan Il Terribile e Jack lo Squartatore sono i protagonisti de Il gabinetto delle figure di cera (1924) di Paul Leni, summa ad episodi dell'espressionismo tedesco che è anche un crescendo di inquietudine, paranoia e follia, più sommesse nel favolistico episodio orientale – il primo - ed esplose nelle ossessioni che riempiono il segmento russo, fino a trasformarsi letteralmente in un incubo nell'epilogo con protagonista il serial killer vittoriano. 

Le tre vicende – sarebbero dovute essere quattro, ma problemi di budget impedirono la realizzazione dell'episodio ambientato in Italia col mago Rinaldo Rinaldini protagonista – nascono nella mente di un giovane poeta il quale, trovando lavoro in una fiera, immagina le vicende dei tre personaggi immortalati in statue di cera. L'episodio dedicato ad Harun Al-Rashid ha le atmosfere della novella e del motteggio, con un sottofondo favolistico che richiama le Mille e una notte, con la falsificazione puramente espressionista giocata sulle forme degli arabeschi e sulle tonalità dell'oro, echi sentimentali e momenti comici. Certo, la leggerezza di fondo viene messa in discussione per esempio nel momento della fuga del fornaio dal palazzo del sovrano, quando le scenografie, le linee, i volumi e gli spazi tipicamente espressionisti danno un senso di oppressione quasi irrimediabile, ma l'impressione generale è quella di un esotico motto di spirito.

Se Al-Rashid è in parte una macchietta e la sua volontà di possesso viene resa vana dalla furbizia, quasi "screwball", della moglie del fornaio, Ivan il Terribile è un crudele sovrano ossessionato dalla morte e condannato alla follia da questa ossessione. In qualche modo, la sua volontà di possesso non si esprime solamente nei confronti della donna desiderata – leitmotiv dei due episodi, nonchè ispirazione per il poeta narratore -, ma soprattutto nei confronti delle regole della vita e della morte. Le strane, magniloquenti e mostruose geometrie – degli spazi, degli oggetti (si vedano i  momenti ambientati nella stanza delle torture) e del corpo snello e allungato di Conrad Veigt - sottolineano questa volontà di controllo assoluto e "metafisico".

In qualche modo, in questi primi due episodi de Il gabinetto delle figure di cera le due figure dispotiche escono sconfitte; "col sorriso" della beffa nel caso dello sceicco, con la follia più assoluta nel caso dello zar. Sono le due vicende immaginate consapevolmente – la fiction dentro il film, per così dire un po' schematicamente -, mentre l'incubo con protagonista il serial killer di epoca vittoriana ha tutte le parvenze di un evento reale, di una minaccia non gestibile, inaspettata e plausibile. Quest'ultimo episodio è un'incredibile resa visiva del senso del pericolo e dell'insondabile; sovrapposizioni di volti, luoghi, strade e corpi, resi da chiaroscuri con un blu elettrico che sostituisce il bianco, sembrano creare un labirinto interiore privo di possibili vie di fuga, e tolgono il respiro. 

Anche solo per questo straordinario segmento finale che in qualche modo riprende la rielaborazione tipica dell'avanguardia di un'indecifrabile inquietudine nazionale, quella della Repubblica di Weimar, Il gabinetto delle figure di cera di Paul Leni merita di essere scoperto o riscoperto come una tappa significativa dell'espressionismo. Un'inquietudine, che lascia solo qualche indizio nell'episodio orientale e che gradualmente e inesorabilmente si radica nello spettatore.