Per celebrare il trentesimo anniversario di Mediterraneo, il Lucca Film Festival ha organizzato una proiezione d’eccezione, introdotta da tre dei protagonisti: Claudio Bigagli, Claudio Bisio e Vasco Mirandola. Il film di Salvatores supera illeso i tre decenni perché, al pari di ogni grande opera, riflette su dinamiche perennemente attuali dell’esperienza umana. Attraverso la storia dell’occupazione di un’isola greca da parte di una sgangherata compagnia di militari italiani durante la Seconda guerra mondiale, Salvatores imposta una riflessione lucida e al contempo romantica sulla necessità dell’estraniarsi, unico «mezzo per mantenersi vivi e continuare a sognare», come recita la citazione che apre il film.

I commilitoni sono uomini «di un’età in cui non hai deciso se mettere su famiglia o girare il mondo», come spiega il loro tenente, che si ritrovano esuli in terra nemica, impossibilitati a comunicare col mondo esterno e dunque ignari dello sviluppo dei tumultuosi eventi su cui non hanno più alcun controllo. L’isola inizialmente disabitata e il Mediterraneo, crogiolo di popoli sin dal nome, diventano allora un non luogo, un limbo pacifico in tempo di guerra, una superficie minima che rifugge la storia.

Animata da un contenuto patriottismo, la comitiva vive racchiusa fra due polarità, rappresentate rispettivamente dal colto tenente Montini (Claudio Bigagli), sensibile quanto placidamente disilluso e dal fragoroso sergente Lorusso (Diego Abatantuono), apparentemente rigido e piacevolmente ciarlatano.

Complice anche l’eccellente interpretazione di Abatantuono, è quest’ultimo personaggio a emergere su tutti, il più legato agli ideali del suo tempo e dunque colui che paga per due volte il tradimento della storia: prima scoprendo che nemici e alleati si sono invertiti sul finire della guerra, poi rimanendo deluso dagli esiti della ricostruzione italiana postbellica. È sconcertante la distanza che separa il personaggio di Lorusso dell’inizio dell’occupazione, strepitante all’idea di lottare sul fronte, ansioso fino all’ultimo di partecipare alla costruzione del futuro, dall’anziano ammansito e disincantato che a stento riconosce i propri ex commilitoni.

Il tempo sospeso della guerra è una frattura nel tempo delle loro vite, l’istante di un breve idillio in cui si condensa la differenza fra ideologia e identità. Ben consapevole dei rischi connessi alla volontà di rifugiarsi nell’oblio – esemplare in tal senso la sequenza del barcaiolo turco – Salvatores realizza uno dei più intensi film europei, sapientemente in equilibrio fra commedia e amarezza, che si dispiega in un finale pungente, perfetto epilogo di un’opera inesorabilmente immortale.