Dario Ricci
David Herbert Lawrence e il cinema
Al di là dell’opinabile giudizio estetico, l’innegabile grandezza di Lawrence risiedeva nel suo essere sapientemente provocatorio, aveva capito il contesto che lo circondava e punzecchiava dove sapeva dolere di più. Il suo bersaglio prediletto è la puritana morale vittoriana, di cui il Regno Unito del primo dopoguerra era ancora intriso, e i cui stringenti dogmi sociali si contrappongono alla sua visione – invero naïf – di un ritorno a un tempo mitico, segnato dall’armonia fra essere umano e natura, e dall’intesa spirituale fra i sessi. Per lui l’atto sessuale è la via per una conoscenza estatica del mondo naturale in quanto tale, minata dall’etica utilitaristica e tecnofila del suo tempo.
“L’amante di Lady Chatterley” troppo grande per lo schermo
L’amante di Lady Chatterley è un romanzo impossibile da trasporre. Non solo D.H. Lawrence ne ha scritto tre versioni sostanzialmente differenti, di cui la terza è certamente quella adattata più di frequente, ma ciascuna di esse presenta personaggi talmente sfaccettati e psicologicamente complessi da renderli incomprimibili in un paio d’ore di audiovisivo. Anche il recente adattamento di Laure de Clermont-Tonnerre è tratto dalla terza versione, la meno ambigua e politicamente impegnata, e riesce quasi a valorizzarla.