Uno geniale, l'altro pazzo: chi è cosa?”. Domanda antica, che allude ad un legame sempre celebrato, se non altro nel lessico dei proverbi, fra genio e pazzia, ma anche ad una dose di fiducia ed altrettanta di sfiducia per i significati socialmente condivisi delle parole. Come definire un genio? Come un pazzo? Come spiegare a parole la differenza fra l’uno e l’altro? “One brilliant, one mad: which is which?”. Lo chiede il filologo James Murray, con marcato accento scozzese e ammirazione priva di pregiudizi, al chirurgo William Minor, eletto a proprio fratello spirituale, in una delle visite a quest'ultimo nel manicomio criminale in cui è internato.

Inghilterra, 1879. Sir James Murray (Mel Gibson), forte di una sconfinata padronanza di buona parte degli idiomi conosciuti e della loro evoluzione, ma privo di formale titolo accademico, riceve l'incarico dall'università di Oxford di redigere il più completo dizionario della lingua inglese. Il dottor William Minor (Sean Penn), coltissimo chirurgo e sergente nella Guerra Civile americana, è recluso in manicomio per aver ucciso qualche anno prima, in preda ad allucinazioni persecutorie, un padre di famiglia, scambiato per uno dei suoi minacciosi demoni.

Murray - barba folta, capelli scarmigliati, rughe e occhi azzurri - sa di doversi affidare all'aiuto di chiunque frequenti i luoghi in cui l'inglese è parlato, letto, ascoltato, insegnato e persino storpiato per portare a termine, lettera dopo lettera, anno dopo anno, la sua monumentale opera di ricostruzione linguistica. Minor -barba folta, capelli scarmigliati, rughe e occhi azzurri- dalla sua reclusione riesce a fare della pazzia metodo, diventando il più attivo ed energico collaboratore ai volumi di Murray. James fa visita a William, i due si riconoscono, intavolano raffinati scambi linguistici, stringono amicizia fino a confondersi l'uno nell'altro. Uno geniale, l'altro pazzo: chi è cosa?

Il regista iraniano P.B. Shemran, già collaboratore di Gibson in Apocalypto, racconta senza particolare personalità una vicenda dalle alte potenzialità cinematografiche. Come in Green Book, c'è la storia vera di un'amicizia sincera ed inaspettata fra due uomini incompleti, a differenza dei Frank e Don del film Oscar 2019 simili nello spirito e nella mente. E come in un altro film premio Oscar, A Beautiful Mind, le loro intuizioni ed associazioni, che qui dirigono l'inesauribile opera di catalogazione delle parole della lingua inglese, si appoggiano su mappe intricate e rigorose, invisibili arredi delle stanze colme di libri e appunti in cui entrambi lavorano.

Emerge un'idea forte, bellissima, che sarebbe stato affascinante vedere al centro delle riflessioni del film. Quella del potere emancipatore e terapeutico della parola, della celebrazione della lingua e della diffusione ecumenica del linguaggio come strumenti di libertà dell'individuo e degli Stati, di affrancamento dall'inferiorità sociale e di crescita personale nei rapporti d'amicizia o persino d'amore, come la storia zoppicante della frequentazione fra William e la vedova della sua vittima dimostra. Tutti spunti che non mancano, ma che restano in stadio embrionale, laddove altre mani avrebbero saputo plasmarli in modo da elevare il film ai livelli dei due titoli sopra citati, modelli cui anche Il professore e il pazzo poteva ambire.