Ecco la terza puntata del Romanzo di Mariù. Potete leggere le altre qui.
Ombretta sdegnosa
La lavorazione del film cominciò dopo pochi giorni e questa volta fummo tutti alloggiati all'albergo Stella d'Italia a San Mamette in Valsolda. Gli esterni erano girati nella bella villa ottocentesca del Fogazzaro, con ampio giardino e vista sul lago di Lugano. Nella stessa villa c'era anche la darsena dove la povera Ombretta annega insieme alla bambola Giorgina. La scena dell'annegamento fu la prima ad essere girata (forse era stato un suggerimento di Lattuada) e non nascondo che, scendendo le scalette sconnesse della darsena, ero un po' terrorizzata, anche perché Soldati pretendeva che mi sporgessi sempre di più per rendere veritiera la scena. Mia madre si era nascosta per non vedere e certamente pensava che il piacere di avere una figlia famosa non valeva la paura di vederla in fondo al lago. “State tranquilla signora, se cade la ripeschiamo" la tranquillizzavano le maestranze, ma lei ebbe pace solo quando la terribile esperienza ebbe termine.
A San Mamette erano arrivati tutti gli attori più importanti: la bellissima Valli, diciannovenne ma già attenta a rendere credibile la figura di Luisa; Massimo Serato, con la sua faccia inespressiva, idolo delle ragazze sia italiane che svizzere che alla sera, finite le riprese, arrivavano con le loro barche per portarselo via. Mia madre aveva legato un po' con i rispettabili attori di teatro che facevano corona ai protagonisti. C'era la venerabile Ada Dondini, che nel film interpretava la marchesa Orsola perfidissima oltre che austriacante, molto noiosa e vogliosa di insegnarmi l'educazione, cosa del tutto inutile perché ero anche troppo buona e remissiva nei riguardi di gente a dir poco pesante. C'era lo zio Piero del bravo e pomposetto Betrone, c'era Anna Carena che faceva la cameriera della marchesa e che nella vita, qualche anno più tardi, sarebbe diventata la mia madrina di Cresima. Erano tutti attori del teatro milanese o piemontese e infatti recitavano come se fossero sul palcoscenico, perché il cinema italiano, contrariamente a quello francese o a quello statunitense non aveva trovato ancora un suo stile e, per quanto riguardava le donne, alternava la figuretta gnolante della brava ragazza a quella sciagurata della vamp rovinafamiglie, alla fine sempre giustamente punita.
Perfino la voce delle brave ragazze era quella di una bambina e infatti mi accadde qualche anno più tardi di doppiare con la mia voce di decenne la protagonista adulta di un film del quale non ricordo più il titolo. In questo senso l'interpretazione matura di Alida Valli, finalmente donna, era un grande passo avanti. Merito certamente della regia di Mario Soldati che, oltre che uomo di cinema, era buon letterato e si era quindi calato in quel piccolo mondo fogazzariano, provinciale, ma autentico. Come ho già detto l'aiuto di Soldati era Alberto Lattuada e il giovane e allampanato ciacchista era Dino Risi. Tutta gente che avrebbe saputo dire qualcosa nel nostro mondo cinematografico. Anche il produttore, che arrivava la sera tardi su una rombante macchina da corsa (era soprannominato “il pazzo volante”), era un giovane chiamato Carlo Ponti.
Gli interni del film vennero invece girati a Torino e richiesero qualche mese di lavorazione. Iane aveva ripreso i suoi impegni scolastici, quindi con me c'era solo la mamma, che si fidava a lasciare sole a Bologna le sue tre figlie maggiori. Torino non mi piaceva, la trovavo triste, grigia, un po' arcigna. La mamma durante i momenti liberi mi portava al Valentino, ma di questo grande parco ricordo solo i biscottini al limone che vendevano in un chiosco, come mi piacevano le paste che si trovavano nelle pasticcerie di via Roma. Purtroppo la mamma aveva anche l'abitudine di portarmi in casa di amici che credo fossero stati suoi testimoni di nozze o compari d'anello, come allora si diceva. Questi coniugi Stefanini stavano in una tristissima casa di ringhiera in una parte di Torino che era ancora più grigia di quanto mi apparisse il centro. Non avendo avuto figli, si erano circondati di tanti cagnolini che logicamente col tempo erano morti e che i padroni avevano sistematicamente fatto imbalsamare e che quando entravo in casa mi fissavano con i loro occhietti brillanti. Erano tutti appoggiati su dei mobiletti ed erano tutti bruttissimi. Comunque le riprese degli interni finirono e con sollievo lasciai Torino, gli Stefanini e i loro cani.
A Bologna s'impose il problema della mia istruzione. Di andare a scuola neanche parlare, ormai avevo un contratto con la casa di produzione e quindi potevo essere richiamata in servizio da un momento all'altro. Mamma era laureata in lettere, poteva senz'altro occuparsi di insegnarmi le materie di base. Naturalmente si fece avanti Iane che a buon titolo poteva dirsi mia vicemadre e che sentiva anche una forte vocazione all'insegnamento. Dunque leggere e scrivere fu molto facile. Ma far di conto fu una tragedia che mi perseguitò per il resto della vita. Madre e sorelle privilegiavano l'istruzione umanistica. Quella scientifica era una triste necessità (un po' come c'era scritto sulle camicie da notte delle spose dell'800: non lo fo per piacer mio,ma per far piacere a Dio) di cui non sapevano molto e che soprattutto non sapevano insegnare. Fu così che quando andai come privatista a sostenere l'esame di seconda elementare feci un figurone in dettato (non sapendo come si sta a scuola domandai alla maestra come si scrive la parola "ciliegie", sulla quale ho ancora qualche dubbio). Il componimento fu un trionfo. Dovevo descrivere un'orribile oleografia nella quale c'era una contadina circondata da spighe vicina ad una culla nella quale giaceva un neonato. "È tanto bella questa vignetta che descrive l'amore materno, che quasi commuove", scrissi. Si gridò quasi al genio, ma il grido rimase strozzato in gola alla commissione quando si passò all'aritmetica. La divisione a due cifre fu per me un completo sfacelo e, visto che una maestra un po' zoppa era inciampata nei miei lunghi piedi che, sempre per la mia totale inesperienza, avevo allungato fuori dal banco, guadagnarmi la promozione diventò problematico anche perché giustamente non contava la mia notorietà. Comunque presi nove in dettato (per via delle ciliegie), dieci in componimento e un sei stiracchiato in aritmetica.
Intanto, il giorno di Pasqua del '41, era uscito Piccolo mondo antico, con un successo senza precedenti. La piccola Ombretta, per noiosa e querula che fosse, suscitò l'entusiasmo delle folle e alla prima del film, al cinema Savoia in via Rizzoli, venni circondata da un pubblico piangente e soddisfatto di vedermi viva e riemersa dal lago. Da quel momento cominciarono ad arrivarmi numerosissime lettere di "ammiratori", come allora si chiamavano, che dichiaravano il loro apprezzamento e mi scongiuravano di mandare loro una foto con dedica. Non so perché la posta arrivava soprattutto da Carpi (Modena) e da Busto Arsizio. Ora diremmo che c'erano là dei fans club, ma penso che fosse una cosa del tutto casuale.
Mi avevano portato dal fotografo Villani (questa volta il primo della città) che mi aveva ritratta in diverse pose, con un vestitino di velluto blu e colletto di pizzo bianco. Quelle furono le fotografie che spedivamo agli ammiratori e io, con la mia incerta calligrafia infantile, alternavo il “cordialmente” al “con simpatia”. Quando la mia manina si stancava subentrava la sempre disponibile Iane, questa volta in veste di falsificatrice, che mi alleggeriva il compito. Cominciarono ad arrivare anche diverse lettere dal fronte: i militari scrivevano, dandomi del voi e raccontandomi che avevano pensato alle loro figlie lontane e assicurandomi che avrebbero tenuto la mia immagine nel loro zaino. Ormai gli ospedali militari andavano riempiendosi di mutilati e di congelati provenienti dall'Albania e da quella Grecia alla quale, nonostante le trionfalistiche previsioni, non avevamo affatto spezzato le reni. Anche nelle città ci si cominciava a preparare a eventuali attacchi aerei e a questo proposito ci era stato suggerito di rinforzare i vetri delle finestre con strisce di carta gommata. Precauzione balorda almeno quanto il fatto di mandare i soldati al fronte con suole di cartone. Noi ci eravamo adeguate, non immaginando la sorte che sarebbe toccata alla vicina via Lame spianata e quasi totalmente distrutta con i suoi abitanti che forse avevano decorato le finestre delle loro misere casette con le infallibili strisce raccomandate dai nostri lungimiranti capi. Anche la contraerea aveva moltiplicato le sue esercitazioni ed era chiaramente udibile dalla nostra casa in quanto una sua postazione era poco lontana. Torino e Milano erano già state bombardate e io ho il ricordo di essermi trovata a Milano non so per quale ragione durante il bombardamento di piazza Tricolore. Ma nonostante tutto questo la nostra vita per il momento proseguiva abbastanza serenamente.
C'era la necessità di farmi fare una vita abbastanza normale anche se non andavo a scuola: dove andare a fare la mia quotidiana "ora d'aria" e le mete preferite erano Corticella che raggiungevamo con il tram e che era allora un luogo di campagna ma soprattutto il parco della Montagnola che ora vede le risse dei maghrebini che si affrontano a bottigliate, ma che a quel tempo era un posto dedicato ai bambini, con un posteggio di biciclettine con o senza ruotine posteriori e di cavallini di legno con annesse ruote di bicicletta che mantenevano la strada, azionate da una leva posta sul manubrio. Io, date le mie scarse attitudini sportive (quasi pari a quelle matematiche), andavo naturalmente sulle biciclette con ruotine posteriori e raramente mi avventuravo sui cavallini che, dovendo essere guidati dalla leva, mi facevano confondere con la destra e la sinistra con pericolose curve verso le aiuole dove tentavo spesso di immergermi con salvataggi all'ultimo momento da parte dell'omino dei noleggi o di mia sorella.
Nella foto: Inserto promozionale che annuncia la vincitrice dei provini per la parte di Ombretta, in 'Cinema', 25 settembre 1940.