Ecco la quarta puntata del Romanzo di Mariù. Potete leggere le altre qui

 

Lezioni di piano

Nel '42 venni chiamata per interpretare la parte di Marina ne La fuggitiva, tratto da un romanzo di Milli Dandolo, una signora gentile che si occupava di letteratura "femminile" non con la sensualità di Liala, ma con il perbenismo e la malinconia degli ambienti borghesi. Raccontava di piccole impiegate, di dattilografe, di commesse illibate e in attesa del principe azzurro, regolarmente sfortunate e piangenti. La mia parte era notevolmente importante e comparivo in quasi tutte le scene, devo dire con un salto di qualità in fatto di interpretazione. Certamente il mio momento migliore lo raggiungo quando sono quasi morente, evidenziando un bel carattere di menagramo che ancora oggi in molti mi riconoscono.

Forse allora mi aveva aiutato il ricordo della famosa bronchite e delle cure subite dal dottor Monteguti o forse il fatto che al mio capezzale, nella parte della madre crudele che ha preferito il palcoscenico all'educazione della figlia, ci fosse un’attrice del calibro di Anna Magnani (anche se in un ruolo per lei del tutto inadeguato). Ricordo di lei solamente una grande quantità di capelli, nerissimi e lucidi e due foschi grandi occhi che mi mettevano addosso un po' d'inquietudine. L'attrice protagonista era un'incolore e bruttina principiante che, nonostante i meriti speciali maturati con la produzione, non fece poi nessuna strada. C'è un limite a tutto. Anche il regista Ballerini era un modesto artigiano e nonostante Mario Soldati mi avesse impaurito con i suoi urli e le sue esigenze, per quanto piccola, non poteva sfuggirmi la differenza che c'era tra i due .

Anche questo film lo avevamo girato a Torino negli stabilimenti Fert e in parte in una lussuosa villa che ci aveva ospitato nel suo parco. La piccola Marina era molto ricca e aveva anche un sacco di giocattoli. Alla fine del film la produzione mi regalò tutto il suo elegantissimo guardaroba (compresa una vestaglia con analogo pigiama in seta pura) e mi chiese quale giocattolo preferivo. Scelsi un grande orso marrone che poggiava le larghe zampe su quattro ruotine, in modo da poter anche camminare per la casa sulla sua groppa. Questo simpatico bestione mi accompagnò sino alla giovinezza, era situato in fondo al mio letto e gli ho voluto davvero un gran bene, anche quando dalla coda spuntava la paglia che costituiva il suo contenuto.

DI quel periodo ricordo le notizie di clamorosi successi italici annunciati con voce trionfante dagli annunciatori dell'Eiar, che però sempre più spesso dovevano segnalare "ritirate strategiche". Vittorie e ritirate strategiche non impedivano alla gente di cercare qualche modesto svago nella quotidianità. “Il Resto del Carlino”, giornale locale, organizzò a Bologna uno spettacolo chiamato "Edizione straordinaria", al quale erano stati invitati gli attori e i cantanti più in vista del momento. E quindi anch'io in quanto gloria cittadina. Scrisse per me una poesiola il grande Michele Galdieri, che doveva firmare riviste diventate famose nel dopoguerra. Presentata dall'attore brillante Fausto Tommei, recitai i versi di Galdieri, che questa volta non aveva certo fatto miracoli. Mi ricordo l'inizio che è sufficiente per darvi l'idea delle tristi cose del mio passato. "Piccolo mondo antico. Ricordate le lacrime che un giorno vi ho strappate? Chi mai non si commosse alla mia sorte, quando nel lago, ahimè, trovai la morte? Da quella morte nacque la mia vita, ed ora eccomi qui, vivace e ardita". Ebbi un grande successo. Questa poesiola ebbi l'occasione di recitarla anche all'inizio del '43, a Roma, mi pare al Teatro Brancaccio, in uno spettacolo organizzato per i soldati feriti e allora aggiunsi anche la canzone che iniziava con "Al campo il silenzio è suonato, di riprender la marcia si aspetta. Nel riposo ogni bravo soldato, un pensiero rivolge lontan”.

I soldati piangevano, ricordando i loro bambini e dopo l'esibizione passai in platea commossa anch'io vedendo questi uomini grandi, in divisa e con bende varie, con le lacrime che scendevano sui loro volti smagriti . Avevo in testa dei fiorellini di velluto giallo e li distribuii tra loro. Ero stata portata sul palcoscenico da un giovanotto di ventitré anni che mi aveva annunciato con le parole "e adesso vi presento una grande diva, una donna fatale molto famosa" e tra il divertimento dei soldati mi aveva portato fuori in braccio. Adesso mi fa un certo effetto di essere stata in collo a quel giovane, che si chiamava Alberto Sordi e che alleggerì l'atmosfera di tristezza suscitata dalla mia esibizione facendo l'imitazione di Ollio del quale come ben sappiamo era lo splendido doppiatore. Degli altri "colleghi" presenti a Roma proprio non mi ricordo mentre per "Edizione straordinaria", a Bologna giunse a metà spettacolo un bellissimo giovane che arrivava dal ferrarese, dove era impegnato nella lavorazione di Ossessione: era Massimo Girotti.

Come si può vedere, ero ormai diventata un'attrice nota e a questo proposito incominciavo a dover rilasciare delle interviste ai giornali. “Il Resto del Carlino” mi mandò un giovane cronista dall'aria un po' spelacchiata, con un impermeabile stazzonato e grossi occhiali da vista che fece poi un articolo abbastanza critico su di me, dicendo nella sostanza che ero una povera bambina privata della sua infanzia. Credo che in fondo non avesse tutti i torti, il giovane Enzo Biagi. Ma per la mia famiglia fu uno scandalo terribile. Attraverso amici riuscirono a farmi fare una 'controintervista' da un giornalista locale ben affermato, Mario Sandri, che intitolò il suo pezzo osannante "I sei anni azzurri di Mariù Pascoli" La giustizia era ristabilita.

Oltre alla preoccupazione per la mia istruzione, della quale ho già detto, ora la produzione aveva espresso il desiderio che mi dedicassi anche alla danza, se mai ce ne fosse stata necessità in qualche prossimo film (si vede che, nel tentativo di fare di me un’autentica diva, avevano ben presente il tiptap di Shirley Temple). Fui portata dalla signora Emilia Volta che nel dopoguerra divenne anche coreografa del Teatro Comunale e che aveva la sua palestra in via Indipendenza. Facevo con diligenza gli esercizi alla sbarra e avevo imparato anche a danzare il valzer “Amour et printemps”, ma mi infastidiva di dover fare sempre e comunque il "sorrisino", come diceva con particolari sibili e arrotamenti di erre la signora Volta. Ad ogni modo le lezioni si arenarono al momento di dover eseguire la ruota. La povera Mariù, con la sua ben nota disposizione alle attività ginniche, rimaneva con i piedi per aria e non riusciva a completare il giro che la ruota comporta.

Anche la musica doveva far parte della mia educazione e perciò venne contattata una certa signorina Alvisi che era disposta a venire a darmi lezione a casa. Non so quante volte venne, ma so che mi martirizzò con una serie di "martelletti", come lei li chiamava, e sono certa che se si fosse prolungata la sua docenza io starei ancora facendo i famigerati martelletti.

Le lezioni di musica facevano parte di ogni buona educazione borghese e tutte le mie sorelle avevano, chi più chi meno, studiato pianoforte e Iane anche violino. Annamaria aveva una buona conoscenza pianistica fin dai tempi in cui la mia famiglia abitava a Verona (io non c'ero ancora) e la signorina Zaira Guelmi diceva che aveva un'ottima disposizione allo strumento.

Più tardi, a Bologna, dopo aver ricevuto come premio per la maturità un bel Rönisch verticale, Annamaria trovò attraverso amici una nuova insegnante di pianoforte. Olga Supino era una donna piccolissima e molto intelligente, aveva al suo attivo una bella carriera maturata i duo col fratello violinista. Avevano suonato in tutta Italia e anche in Austria e Germania, dove con l'aiuto di Ferruccio Busoni, loro buon amico, avevano scelto un meraviglioso Bechstein a coda che troneggiava nel loro salotto borghese di via Saragozza. Accompagnai mia sorella in una delle sue prime lezioni e di quella visita mi rimase impresso un piccolo pianoforte-giocattolo a coda che stava sul coperchio di quello vero, alcuni album di illustrazioni che la signorina mi aveva dato da guardare mentre mia sorella suonava, ma soprattutto una delle “Invenzioni a tre voci” di Bach che Annamaria suonava abbastanza bene. Visto che avevo delle belle mani ben sviluppate la signorina decise che, facendo uno strappo alla regola che le faceva dare lezioni solo in casa propria, sarebbe venuta da noi appositamente per me, che avevo delle difficoltà a uscire perché ero spesso assalita dai troppi curiosi che mi riconoscevano. Arrivava in taxi e noi si andava a prenderla con l'ascensore. Era sempre vestita di scuro, blu o nero, e aveva in testa degli incredibili cappellini con veletta. Nel giro di quindici giorni avevo già cominciato a suonare dei piccoli pezzi come “Pavana” e “Notturnino” di quell'Enzo Masetti che guarda caso aveva scritto la colonna sonora di Piccolo mondo antico. La signorina era molto contenta di me ed io ero molto contenta di lei. Da allora si instaurò un rapporto di stima e di affetto che doveva durare più di vent'anni e che doveva farmi apprendere la difficile arte dell'insegnamento, cosa di cui le sarò grata finché avrò vita.

 

Nella foto: Guida pubblicitaria originale di Piccolo mondo antico, 1940