“Francesco è il santo di tutti anche di chi non crede”.

Con queste parole Isabella Rossellini ha presentato la proiezione della pellicola restaurata quest’anno dalla Cineteca di Bologna e The Film Foundation, di Francesco, giullare di Dio. Il film fu presentato nell'agosto 1950 all'11ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia assieme a Stromboli, che anche se fuori concorso, offuscò del tutto Francesco, ottenendo un successo molto maggiore.

Probabilmente sia il pubblico che la critica rimasero perplessi di fronte a un film che esprimeva un Rossellini radicalmente diverso rispetto a quello dei film precedenti (della cosiddetta trilogia “antifascista” o “resistenziale”) ed indubbiamente molto lontano da essi sia per stile che per contenuti. Il film fu prodotto nel 1950, la guerra era finita da poco e Rossellini esprimeva qui un anelito inconfondibile, quello di una faticosa riconciliazione con un passato violento e fascista, un desiderio quasi mistico di perdono e di pace, “Credo che papà si sia rivolto ai santi per avere una risposta”, spiega ancora Isabella.

Gianni Rondolino scriveva a tal proposito (Roberto Rossellini, Ed. Il Castoro) che Francesco, giullare di Dio “ruota attorno al tema della santità intesa non in senso religioso o mistico, ma laico ed umano”, una santità che è sinonimo di sincerità, anticonformismo, disponibilità verso l’altro, persino follia, ma unica virtù capace di superare gli odi e gli egoismi e di “proporsi come soluzione individuale e sociale alle contraddizioni del mondo contemporaneo”. È così che Rossellini si rivolge alla figura del frate per antonomasia, un rivoluzionario, un ribelle per proporre con il suo francescanesimo riletto in chiave per nulla agiografica, la speranza di una società più giusta, più umana, più autentica, più libera e nella quale la fratellanza possa rivelarsi non solo come una pia illusione.

Per questo probabilmente Rossellini sceglie di mettere in scena gli inesprimibili sentimenti di lacerazione umana, emersi dallo sfondo della guerra appena finita, con un film che apparentemente non si sviluppa in modo organico ed unitario, ma frammentario ed episodico. Rossellini dipinge una serie di “bozzetti” liberamente ispirati ai Fioretti di San Francesco ed alla Vita di Frate Ginepro, scrivendo, insieme a Federico Fellini e Brunello Rondi, undici episodi ritenuti aneddotici, non tanto della vita del santo, quasi sfocata in secondo piano rispetto a un'immagine corale di “fraternità” e alla figura di Frate Ginepro. Quest’ultimo spicca per ilarità e “follia”, e pare incarnare l’essenza ideale del “giullare”, più buffo ed indisciplinato tra i frati, ma anche molto sensibile e permeabile agli insegnamenti di frate Francesco. Così il film di Rossellini non è certo un’opera di ispirazione storica né narrativa, ma piuttosto sentimentale e contemplativa e il suo sentimento prevalente sembra essere la ricerca di una moralità perduta, terrena e non, di una fratellanza che si esprima con la natura circostante (gli uccellini che cinguettano sui rami, poi ripresi dal Pasolini di Uccellacci e uccellini, gli animali sacrificati per il benessere umano in grazia di Dio) o nei confronti degli altri uomini, siano essi frati presi in prestito dalla realtà o feroci guerrieri.

Il cameo di Aldo Fabrizi nei panni del temibile tiranno Nicolaio, capellone (forse è l’unica apparizione dell’attore con così folta chioma), sigillato in una armatura di ferraglia impenetrabile, che lo costringe ad essere manovrato dall’alto come un pupo siciliano, è uno dei momenti di esilarante comicità del film, quasi certamente ascrivibile al genio comico di Fellini. Così come forse anche le acrobazie ginniche di Severino Pisacane /Ginepro che viene sbattuto di qua e di là tra i guerrieri come fosse una palla rimbalzina, fatto volare ed atterrare con un'agilità che nemmeno uno stuntman, e infatti pare che non venne usato, incredibilmente, per girare queste scene. Spettacolo puro in forma di circo, ambiente genuinamente felliniano.

Francesco, giullare di Dio è dunque un film molto fecondo (come lo ha definito G. Farinelli) che contiene al suo interno il seme di una storia del cinema successiva, per lo spettacolare sentimentalismo de La Strada, per le filosofiche indagini pasoliniane di Uccellacci e Vangelo, ma anche per il senso di solitudine e ricerca interiore di Europa 51 e Viaggio in Italia.

Con questa pellicola Rossellini riaffermò in modo originale e schietto tutta la sua libertà intellettuale, svincolandosi da definizioni schematiche e formule critiche, espresse una volta per tutte la sua “necessità di continuare il cammino indagatore dell’uomo e del suo ambiente, dei sentimenti e delle relazioni”, proponendo un francescanesimo anticonformista che vide una speranza nelle possibilità rivoluzionarie dell’individuo. Il primo a fare una piccola personale rivoluzione con questo stile filmico semplice ed episodico, e il capovolgimento di valori tradizionali, fu proprio lui.