Pioggia battente sui viali parigini d’inizio secolo. La folla si riversa in uno dei tanti tendoni di una fiera. Si tratta di un cinema, che ancora non si era imposto come spettacolo autonomo, ma che già allora aveva il potere di smuovere le masse e far nascere l’amore. Queste immagini aprono Il silenzio è d’oro, che segna il ritorno in patria di René Clair, dopo la proficua esperienza hollywoodiana. La Francia sta cercando di risorgere dalle ceneri della guerra e Clair dà il suo contributo proprio attraverso il cinema, che definiva la “macchina per fabbricare i sogni”.

È esattamente un sogno che viene messo in scena, un triangolo amoroso attorno al quale ruota tutto un mondo fatto di nostalgia, speranze e voglia di ricominciare. Parafrasando il titolo si potrebbe infatti dire Il muto è d’oro, mettendo in luce la volontà di far rivivere tempi migliori, spensierati, in cui il cinema era il tramite fra il mondo fisico e quello magico, in cui tutto può accadere. Emerge il desiderio di tornare ai viaggi fantastici di Méliès, riscoprire, attraverso un’arte che muoveva i primi maldestri passi, la possibilità di sperare o anche solamente divertirsi riparandosi dalla pioggia.

“Credo che ridere sia il vero segno della libertà” disse ancora Clair, e in questo senso il film è una liberazione. Accanto agli animi turbolenti dell’anziano regista e del suo giovane attore, che si contendono l’amore di una sprovveduta ragazza trapiantata nella vita metropolitana, emergono infatti una serie di irresistibili personaggi squisitamente comici.

Questo gruppo di “tuttofare del cinema” che passano (come consuetudine dell’epoca) dal ruolo di attore a quello di tecnico, da addestratore di capre a scenografo, fanno da contraltare anche alla vena comica più studiata del racconto, che procede attraverso sagaci incastri narrativi e raffinata ironia.

In questa delicata dialettica si muove un film che raccoglie l’eredità di un certo cinema francese (fra tutti Epstein e Vigo), che si districa fra il realismo e la poesia, fra immanenza storica e trascendenza emotiva, senza che questi poli opposti collidano bruscamente. Non solo tempo storico, ma anche di resurrezione, celebrazione di un’epoca e speranza nell’avvento di una nuova, guidata dall’amore di due giovani sognatori. Due sono anche le Parigi, quella di inizio secolo, la più grande metropoli del mondo, con le luci degli spettacoli e dei caffè negli affollati boulevard, e quella del 1947, lacerata dalla guerra, su cui batte una pioggia che sembra non voler cessare.

A raccontarle entrambe, tra nostalgia e speranza è la settima arte, perché il cinema è (sempre?) il protagonista dopotutto.