Riconnettersi col primordiale, conoscere la bestialità dell’uomo e l’umanità delle bestie. Scendere a patti con la natura, sublime e misteriosa. Amarla tutta e renderla casa. Essere donne e madri del mondo e rispettarlo, lontane dalla vita cittadina, immerse nel silenzio affettato delle montagne con le mandrie e il loro belare come unico compagno sonoro. Tutto questo e molto di più è In questo mondo, l’opera prima di Anna Kauber, evento speciale del Festival Visioni Italiane 2019. Il documentario ci guida nell’atipica e sconosciuta realtà delle donne pastore italiane. Attraverso un viaggio lungo due anni e migliaia di chilometri affrontati, lo sguardo presente/assente di Kauber mostra una vita rurale, in via di estinzione, che non fa sconti, pregna di vita e morte, di sangue, liquidi e materia viva, spesso putrescente ma per questo incredibilmente potente.  

Al centro della narrazione, le donne. Sì, perché contrariamente alla credenza comune che vuole l’uomo, per forza fisica e resistenza, come addomesticatore degli animali, qui a far valere la propria tenacia ci sono loro, le “pastoresse”. Dal Trentino sino alla Sardegna, i dialetti musicali di queste eroine coraggiose - che siano giovanissime o anziane - si fondono e raccontano le difficoltà nell’essere riconosciute al pari dell’uomo, in un ambiente che considera un disonore far lavorare la donna con le bestie. Chi dice che le donne non possano farlo? Sembra, invero, che proprio la loro minore forza fisica (sempre che di minor forza si possa parlare, alcune tra loro raccontano delle tonnellate di pelli sollevate e centinaia di pecore rasate solo con l’ausilio di forbici) e l’inclinazione naturale alla cura delicata le rendano guide ideali per gli animali. Che siano nate in una famiglia di pastori o lo siano diventate per propria scelta, hanno tutte in comune l’amore per la natura e i suoi figli. È nel trattamento degli indifesi che si rivela la crudezza dell’essere umano. Laddove gli animali donano loro stessi all’uomo con amore, sino a offrirsi come pasto per la sopravvivenza, l’uomo anela al profitto e li usa, li maltratta, sfoga su loro le proprie frustrazioni. Nella preservazione e nella difesa dei deboli sta la vera forza delle donne pastore, che riconoscono la sacralità della terra che abitano.

Kauber ha la straordinaria capacità di trasformare un tema di ostico interesse in una parabola intensa e nostalgica sulla perduta connessione tra uomo e natura. E lo fa con un realismo poetico che non cela nessun aspetto, finanche disturbante, della meraviglia del creato. A panoramiche di paesaggi sconfinati e brulicanti, accompagnate dalle note di violino che si disperdono nell’aria, si alternano scene di pecore partorienti o del sangue che defluisce dalla gola di una mucca morta, cariche di rispettoso silenzio.

È un mondo, quello di Anna Kauber, umano, troppo umano; e il lavoro della pastorizia è per spiriti liberi, nomadi. La transumanza animale diviene transumanza spirituale. Ché per le donne pastore casa non è un solo luogo. La loro casa è l’ambiente che le circonda, ovunque esse si trovino. È un mondo genuino, questo mondo da noi così distante. Un mondo lontano dal mondo, fatto di sacrifici, sudore e spesso povertà. Ma è nelle pieghe del viso stanco e appassionato delle donne pastore che si intravede la gioia di vivere, un instancabile entusiasmo che non conosce superficialità o depressione. È la vita autentica, al di là della sapienza civilizzata e dei suoi mali.