A Hollywood ha diretto un po' di tutto, in particolare film drammatici e thriller, ma si è saputo adeguare anche a due grandi mattatori comici come John Belushi, in Chiamami aquila (1981), e Richard Pryor, in Prognosi riservata (1987). Pienamente inserito nell'industria, prolifico come pochi, non ha mai vinto un Oscar ma bensì un Grammy, per il documentario musicale Bring On the Night (1985), dedicato a Sting. Nella madrepatria, in Inghilterra, la sua docu-serie Up è pressoché leggendaria. Il suo ultimo lungometraggio è il recente e non memorabile Codice Unlocked (2017), ma negli ultimi anni si è soprattutto mosso con disinvoltura nelle maglie dell'attuale età dell'oro televisiva, dirigendo episodi di Masters of Sex, Ray Donovan e Bloodline.

È morto il 7 gennaio 2021, a 79 anni, Michael Apted, un regista interessato a temi progressisti come la disparità fra classi o la tutela dei gruppi etnici, eppure in grado di capire e abbracciare le esigenze dell'industria, la sua necessità di ritorni economici. Ha cercato spesso di dedicarsi a prodotti mainstream che contenessero anche istanze politiche, da Gorky Park (1983) a Conflitto di classe (1991), da Extreme Measures – Soluzioni estreme (1996) a Amazing Grace (2006). Al contempo però ha sostenuto con forza che fosse molto meglio lavorare su progetti nati per produrre rientri monetari, perché solo quelli avrebbero avuto reali possibilità di promozione e diffusione presso il pubblico.

Pacato, gentile, con una nota lievemente indecifrabile, Apted ha mostrato un'innata capacità di mediazione, e non stupisce che sia stato eletto presidente della potente Directors Guild of America per tre mandati consecutivi. E mediatore è stato anche fra le sue due anime di regista di fiction e non fiction, arrivando a dirigere contemporaneamente – caso più unico che raro – il thriller destinato al grande pubblico Cuore di tuono (1992) e il documentario di denuncia Incident at Oglala (1992), entrambi ambientati negli stessi luoghi ed entrambi in modi diversi dedicati alle istanze della comunità Sioux.

Ma “il lavoro di una vita” nelle sue stesse parole, quello per il quale il nome di Apted verrà tramandato ai posteri è indubbiamente Up. Progetto nato senza troppe pretese mentre il futuro regista, ancora 22enne, si stava facendo le ossa nella televisione inglese, Up è diventato nel tempo il racconto dello stato di una nazione e dei suoi abitanti. L'idea alla base del primo episodio, Seven Up! (1964), era molto semplice: prendere alcuni bambini della stessa età, 7 anni, ma diversa estrazione sociale, e intervistarli mostrando le peculiari idee di sé, del mondo, e del proprio futuro. Partendo dal motto gesuita “Datemi un bambino di 7 anni, e vi mostrerò l'uomo”, l'intento era di mostrare come gli individui fossero il prodotto della loro classe sociale e, a dispetto dei sommovimenti politici già in atto in quegli anni, il sistema delle classi in Inghilterra si mantenesse sostanzialmente imperturbabile.

Il risultato fu al contempo politicamente brutale e umanamente struggente, e il documentario venne trasformato in una serie, con i protagonisti intervistati ogni 7 anni, sino al più recente 63 Up del 2019. Apted, all'epoca del primo capitolo solo un collaboratore, divenne il regista di tutti i successivi episodi, tanto che anche dopo la decisione di trasferirsi in U.S.A. nel 1979, dopo 21 Up, ritornò periodicamente nel Vecchio Continente per portare avanti il suo progetto, che aveva incontrato un enorme successo – con 28 Up messo da Roger Ebert fra i suoi 10 titoli preferiti di tutti i tempi – e visto i protagonisti trasformarsi in piccole celebrità (memorabile l'aneddoto di uno di loro che, diventato tassista e trovatosi a trasportare Buzz Aldrin, si vide chiedere un autografo da un passante sotto gli occhi dell'astronauta).

Se con Up Apted ha di fatto inventato il documentario longitudinale, nonché un format riprodotto in altri paesi e da lui stesso trasposto sul tema del matrimonio (Married in America), la sua sensibilità umanistica e il suo ego evidentemente contenuto sono anche i motivi per i quali è stato spesso scelto per film al servizio della star di turno. Il suo stesso debutto nel grande schermo, Triplo eco (1972), dopo aver lavorato in televisione su programmi popolarissimi come Coronation Street e Play for Today, è arrivato per il desiderio di poter lavorare con Glenda Jackson come interprete principale, mentre il suo esordio a Hollywood, La ragazza di Nashville (1980), fece vincere l'Oscar a Sissy Spacek dopo aver raccolto unanimi plausi. Nomination e grandi lodi anche per le protagoniste assolute Sigourney Weaver di Gorilla nella nebbia (1988) e Jodie Foster che, anche produttrice di Nell (1994), scelse per dirigerla proprio lui.

A quanto Apted ha raccontato, è stata proprio la sua abilità nel dirigere interpreti femminili a farlo reclutare dai produttori del capitolo 007 Il mondo non basta (1999), in una fase in cui il franchise stava cercando di evolversi coi tempi, nonostante davanti a Denise Richards pure lui si sia dovuto arrendere a quanto pare. Eppure, con un personaggio all'epoca frusto e a rischio obsolescenza, prima della nuova “fase Daniel Craig”, Apted è riuscito a fare con successo quanto gli era stato chiesto in quanto regista navigato: movimentare il più possibile una serie a quel punto ostentatamente ripetitiva, basata sulla spettacolarità di scene d'azioni ogni volta più mirabolanti, riuscendo a riportare il pubblico in sala. E pur definendo i film a così alto budget “un incubo” da girare, Apted si è fatto poi tentare nuovamente da un'esperienza simile con Le cronache di Narnia – Il viaggio del veliero (2010), con esiti piuttosto simili.

Prolifico, versatile, affidabile. Apted non è mai stato un innovatore della forma, piuttosto un consumato professionista, in grado di usare la retorica cinematografica a suo piacimento, sottolineare concetti con le immagini come più opportuno ai fini espressivi di volta in volta desiderati da lui o da altri. Nel mondo del cinema mainstream verrà forse ricordato, non sappiamo per quanto, come uno che sapeva fare le cose al meglio. Ma nel mondo del documentario il suo lascito resterà.