In viaggio verso un sogno – The Peanut Butter Falcon è un film vecchio stile, fiero di rivendicare la sua essenza da canone tradizionale, appena appena aggiornato nei temi e nei modi: un protagonista maschile con qualche guaio in sospeso ma bisognoso di redenzione, un ragazzo con la Sindrome di Down e tutto il diritto di rivendicare i propri sogni, una figura femminile materna e salvifica, impegnati in un viaggio on the road – e “on the water” –  verso qualcosa di migliore. Non mancano nemmeno l'utilizzo di due divi di sicuro appeal come Shia LaBeouf e Dakota Johnson, e un'attitudine nostalgica, che oggigiorno non si nega a nessuno, fra vecchie videocassette e zattere alla Huckleberry Finn.

Poco aiutato da un titolo italiano che non brilla certo per distinzione, disperdendo quell'afflato ironico e dolce alla Little Miss Sunshine dell'originale, e da similitudini oggettive con mille altre pellicole, In viaggio verso un sogno rischia di passare fra le maglie cinefile come un feel-good movie qualunque. Eppure è un film che sceglie di avere un cuore d'oro ma non vuole essere buonista, e tratta il tema dell'handicap più attraverso l'attenzione all'individualità che ai riguardi irreggimentati del politically correct. E che mette in scena la sua storia con tale semplicità e delicatezza, verso i sentimenti dei personaggi e degli spettatori stessi, da divenire qualcosa di cui ogni tanto si sente proprio il bisogno: cinema classico in purezza, fatto della materia di cui sono fatti i sogni.

In questo viaggio fra le sideways del vecchio Sud degli U.S.A. (nelle quali anche Thomas Haden Church, guarda caso, fa capolino), i registi e sceneggiatori Tyler Nilson e Michael Schwartz inseriscono accenni a temi per noi un po' sottotraccia, che risuonano però a fondo nella cultura statunitense: quello di un'America rurale più ruvida ma alfine più gentile di quella delle grandi città, e di stati meridionali (ci muoviamo dal North Carolina alla Florida, passando per South Carolina e Georgia) dal fascino più nascosto ma innegabile, rispetto all'efficiente e esuberante Nord.

Così il tempo e lo spazio si spandono, lasciando posto alla contemplazione di una natura immaginifica nei colori e nelle geometrie, e alla conoscenza di personaggi incantevoli non proprio al centro dell'immaginario d'oltreoceano: un comprensivo commesso di un drugstore sperduto nel nulla, un vitalissimo evangelizzatore cieco dal grilletto facile, una dolente gloria del wrestling caduta nel dimenticatoio, nonché un Bruce Dern che sembra preso di peso da Nebraska e teletrasportato qui, facendoci accorgere di quanto ci fosse mancato nel frattempo. Certo, Nilson e Schwartz non sono il David Lynch di Una storia vera, dunque non si arriva al livello di una riflessione sullo stato dell'umanità e dei suoi reali bisogni, ma la pietas del loro sguardo è rinfrancante e commovente.