Infinito fu un progetto fotografico di Luigi Ghirri del 1974. Il lavoro consisteva in 365 fotografie di cieli diurni, una per ogni giorno dell'anno. Cosa spingeva un artista a fissare il cielo tutti i giorni per un anno? Non certo follia, piuttosto alcuni pensieri, sull'arte, la fotografia, la vita, la società contemporanea. Un pensiero vivente che informava la pratica artistica (venendone informato a sua volta). Parte da questi pensieri (raccolti in Niente di antico sotto il sole, recentemente ripubblicato per Quodlibet), Matteo Parisini per riscoprire la figura del fotografo emiliano. Prodotto in collaborazione con Sky Arte HD e Rai Cultura e presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, Infinito: l'Universo di Luigi Ghirri fa rivivere, attraverso la voce di Stefano Accorsi, la parola dell'autore cercando di evidenziare il legame tra opera e pensiero.

Nel 1969 venne pubblicato il primo scatto della Terra vista dalla Luna. Un'immagine che conteneva tutte le immagini, tutti i geroglifici di cui è composto l'enigma che costituisce il mondo. Ma proprio in quanto il mondo è un enigma nessun geroglifico è capace di spiegarlo, contenerlo del tutto. Proprio da questo scatto nacque la passione di Ghirri per la fotografia, il suo desiderio di “tradurre il segno e il senso di questa somma di geroglifici”. Dalla parola dell'autore giungiamo alla sua opera, le sue fotografie, che passano in rassegna proprio come una serie di geroglifici che ci interrogano e inquietano. Vedere l'universo ghirriano alla distanza, raccoglierlo in una totalità sapendo della sua inesauribilità. Allo stesso tempo, metterlo in moto attraverso il montaggio. Montaggio prima di tutto di opera e pensiero, cosicché l'una riveli l'altro, e viceversa.

La parola dell'autore funge qui da segnavia grazie a cui tracciare possibili linee di pensiero e ripensare così la storia artistica di Ghirri. Non un'agiografia. Piuttosto un'opera, quella di Parisini, a metà tra la divulgazione del documentario d'arte (in Italia ormai giunta a una seconda giovinezza) e lo studio critico-accademico da documentario di ricerca (grazie alla collaborazione con varie istituzioni pubbliche quali la biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, il Centro studi e archivio della comunicazione di Parma, la Fondazione Modena Arti Visive). Una ricerca che torna sempre però all'opera, senza che, spiegandola, venga risolta interamente nella teoria.

L'opera paesaggistica di Ghirri è informata da una teoria del paesaggio che valorizza l'unicità, la singolarità, la differenza nella ripetizione di ogni veduta. Anche il documentario di Parisini ha un ché di paesaggistico: paesaggi umani (i collaboratori di Ghirri, gli storici d'arte, la famiglia), spaziali (il ritorno con Massimo Zamboni a Villa Pirondini in cui fu scattata la cover di Epica Etica Etnica Pathos), filmici (l'archivio Ghirri fa risorgere non solo la parola ma anche la voce e il volto dell'autore). Rivivere gli stessi paesaggi a distanza di anni, guardare il lavoro del tempo su quei paesaggi, assommare i geroglifici dell'universo ghirriano, connetterli a una totalità, mostrarli alla distanza, farli vedere come se fosse la prima volta. Con la consapevolezza che l'enigma Ghirri continuerà a interrogarci all'infinito.