In vista di un primo bilancio di questo 2017 davvero sorprendente per il cinema d'autore italiano, abbiamo incontrato Susanna Nicchiarelli per un incontro più a freddo, dopo il grande successo veneziano di Nico, 1988 e la successiva distribuzione in sala.

Guardando il film, si ha l'impressione di una graduale demistifcazione della figura di Nico, una figura, potremmo dire, anti-eroica e terribilmente umana. Scegliere di presentare il "mito" nella sua quotidianità e monotonia è stata un'operazione riuscitissima e trascinante. Cosa ti ha spinto a delineare in tal senso la sua vita, i suoi ultimi anni?

Era proprio questa l’intenzione: secondo me nella frase che dice Nico nel film “Io nella mia vita ho raggiunto le vette e ho toccato il fondo ed entrambi i posti erano vuoti” sta il senso del film. Il mito del successo e dell’insuccesso sono dei miti privi di significato nella vita dell’artista, la cui vita si svolge a metà tra questi due estremi. La vita di Nico negli anni ’80 era proprio questo, uno spaccato di vita trascorso a comporre la sua musica indipendentemente dal consenso o l’idea che il pubblico aveva di lei per portare avanti un suo discorso artistico e musicale. Questo momento mi è raccontare la storia di una donna libera da ogni forma di idealizzazione o mistificazione, una figura che si reiventa vivendo in maniera lucida sia passato che presente.

La musica di Nico, e The Marble Index ne è la prova, ha influenzato moltissimi gruppi tra cui anche i Joy Division. Ian Curtis e Nico condividono lo stesso malessere esistenziale, seppur dettato da circostanze diverse. Perciò ti chiedo, c'è qualche figura del panorama musicale a cui ti sei ispirata per tratteggiare la sua psicologia?

Non particolarmente, c’era già lei. Hai ragione nel dire che la sua musica ha influenzato nonché anticipato molto della New Wave e il Gotic negli anni ’80, già dalle musiche dei film di Garrel, con sonorità completamente sperimentali e diverse da quelle del momento. La cosa che mi attira di tutto questo è che non era alla ricerca di consensi, non cercava di piacere ed era molto concentrata su sé stessa e sul suo progetto.

E non era certamente la stessa del periodo con i Velvet Underground?

Senza dubbio. Lì c’era una persona completamente diversa. Una specie di bambolina che suonava il tamburello, come stesso lei afferma in un’intervista nel film – e realmente - , essendoci esclusivamente per la sua immagine.

Trine Dyrholm è tutto fuorché simile a Nico, nell'aspetto: la scelta di un'attrice d così poco somigliante, ma di una presenza scenica e intensità uniche, è coerente con lo scopo di affrancarsi dal mito-Nico?

Assolutamente sì. All’inizio qualcuno mi faceva notare il fatto che Trine non somigliava a Nico, ma ho sempre pensato fosse meglio, perché in realtà credo che quando nei biopic c’è somiglianza si crea un blocco, vivendo soltanto l’idea imitativa o la pura mimesi. Il film, d’altra parte, deve essere qualcosa si diverso dalla realtà da cui proviene e quindi Trine mi permetteva di distaccarmi, ma non per questo ho cercato di ingannare il pubblico, usando le immagini della vera Nico anche accanto alle figure di Nico.

All Tomorrow's Parties è un pezzo emblematico, il ritratto di una Nico evocata nel film solo attraverso fotogrammi e sequenze sbiadite e si potrebbe leggere come una specie di fine delle illusioni giovanili. Perciò ti chiedo, quanto delle tue aspettative passate o "illusioni" c'è in te e nel tuo cinema? Sono state determinanti per costruire l'artista di adesso?

Sicuramente. Quando ho cominciato pensavo di fare delle commedie, cose molto più leggere. Andando avanti ho capito che non mi interessava e che volevo intraprendere la creazione di cose meno superficiali e più profonde. E il mio film su Nico è l’esempio più fulgido, sulla carta la sua vita fa paura: sono andata fino in fondo nella delineazione di una vita così lacerata, e sono stata ugualmente radicale in alcune scelte registiche, come per quarto riguarda il formato e il modo di girare. Forse la cosa che ho imparato maturando è che m piace essere più coraggiosa, cercando meno il compromesso, dato che è proprio questo il momento in cui, perdendo la propria identità, si perde il pubblico e il motivo per cui si fa questo lavoro.

Nei suoi film emerge sempre un interesse forte verso il passato, in particolare quello dell'utopia comunista in tutte le sue forme, vista talvolta con ironia, talvolta con malinconia, talvolta con disperazione...da dove viene questa suggestione?

Senza dubbio anche dagli studi universitari. Ho studiato oltre che filosofia anche storia e le tematiche del pensiero, le sue declinazioni nel tempo sono cose che mi appassionano e sicuramente permangono nei miei film. Penso al crollo delle ideologie, la fede in un’idea, la diversità di lettura degli eventi storici a seconda della propria visione tornano sempre nel mio cinema. Tuttavia credo sia importante quando si fa cinema e anche critica essere istintivi dove c’è una componente immediata che non va mai persa, soprattutto nel cinema. E questo non va mai perso perché ti porta a comunicare sempre con più persone.