“Be', che volete, era la prima commedia... Sapete come si cerchi di arrivare alla perfezione almeno nell'arte, perché, è talmente difficile nella vita.” Sono passati quarant’anni dalla sua prima uscita nelle sale cinematografiche, ma Io e Annie continua ad avere un posto tutto suo nel cuore di più una generazione di cinefili, anche giovanissimi; basti ricordare le battute da antologia di Allen, il look di Diane Keaton che lanciò una moda e una certa immagine di New York, ormai familiare per chi conosce il regista. Accuse più o meno fondate a parte, Woody Allen negli ultimi anni è stato infatti protagonista di un grande revival del suo cinema, che gli ha permesso di poter abbracciare un pubblico molto più ampio rispetto a quello prettamente radical chic degli anni ’70 – ovviamente con tutti i pro e i contro.
Su Io e Annie, vincitore di quattro Premi Oscar e acclamato dalla critica, dal 1977 in avanti è stato scritto di tutto, ma non abbastanza per quel che concerne l’aspetto musicale; attributo della filmografia di Allen mai sviscerato appieno. Film di passaggio, sperimentale (per certi versi, anche dal punto di vista musicale), Io e Annie presenta delle caratteristiche proprie in cui è possibile riconoscere l’inizio di quel personalissimo percorso tutto alleniano che prevede l’utilizzo di musica preesistente. Dopo la sua dirompente esplosione sul grande schermo con i “primi film, quelli comici” – per citare Stardust Memories, il regista fa in modo che il Dixieland lasci spazio a una rapsodia in cui si intrecciano movimenti che richiamano la musica classica ma anche musica popolare, quest’ultima connotata della doppia natura di standard jazz.
Un modo, questo, di intendere la musica all’interno dell’oggetto filmico che prenderà forma soltanto in Manhattan; la peculiarità di Io e Annie è che il film sia caratterizzato dalla quasi totale assenza di musica. Una scelta che, come si evince dall’intervista di Melvyn Bragg ad Allen, è stata dettata dal desiderio di avvicinarsi a un gusto prettamente bergmaniano. “Quando girai Io e Annie risentivo molto dell’influenza di Bergman. […] I soli momenti in cui c’è musica nel film è quando […] il suono proviene da una sorgente. Non c’è partitura o musica sui crediti, tranne quando Diane Keaton canta”.
Ciò rende la colonna sonora di Io e Annie estremamente essenziale, ma allo stesso tempo già portatrice di quelle caratteristiche che, in seguito, renderanno unico non soltanto il modo alleniano di strutturare la musica per film, ma anche il significato immaginifico di intendere la musica stessa nel suo cinema. Non è un caso dunque che, dalla gracchiante autoradio di Annie, erompa la celebre Sinfonia “Jupiter” (che in Manhattan diventerà una delle cose per cui vale la pena di vivere) e che, la popular song By the Sleepy Lagoon, nella registrazione di Tommy Dorsey, diventi il leitmotive per evocare i radio days dell’infanzia a Coney Island del protagonista.
Solo nel caso di It Had to Be You e Seems Like Old Times, il regista sceglie di affidarsi alla voce di Diane Keaton, la quale riesce a creare un continuum sonoro capace di rappresentare il percorso di crescita della protagonista che, tuttavia, coincide con la fine dell’idillio romantico con l’antieroe alleniano.
In particolare Seems Like Old Times porta con sé un’idea di nostalgia e mancanza che per la prima volta si manifesta con un’incredibile potenza visiva nel cinema di Allen, specialmente sul finale: quando sul piano visivo l’elegiaco montaggio di flashback culmina con l’addio tra Annie e Alvy, su quello sonoro il celebre monologo delle uova lascia spazio alla voce della donna amata, ormai perduta. Così, prima che il silenzio dei titoli di coda ci trascini dal sogno all’illusione ancora una volta, l’ultimo suono che possiamo ascoltare, è proprio il dolce e caldo “you” della voce di Annie.