Non è tanto il talento, quanto l'ossessione a distinguere i grandi dai grandissimi. C'è una filmografia in continuo divenire pronta per sostenere questa affermazione, e il documentario di Jean-Baptiste Péretié ci si iscrive a pieno a titolo. Il genio di Jacques Tati risulta talmente abbagliante da renderlo difficile da raccontare, ed è per questo che il regista francese - con alle spalle ritratti di Buster Keaton, Al Pacino e John Wayne - lo libera attraverso le immagini del suo cinema relegando la storia a commento interpretativo. 

Jacques Tati ha perseguito lungo la sua carriera il minimo comun denominatore della genialità: la perfezione. Lo ha fatto in maniera maniacale ed incessante utilizzando l'avatar di Monsieur Hulot, sacrificando sull'altare della sua idea di cinema tempo, soldi e la sua stessa vita.

Nella sua traiettoria professionale il punto di massima altezza che funge da spartiacque tra il moto parabolico ascendente verso l'obiettivo e quello discendente verso una malinconica fine è sicuramente Playtime (1967). La sua opera più grande e visionaria, prima di essere consegnata alla storia del cinema, si è attestata come l’elefante nella stanza con cui scendere a compromessi. Un lavoro mastodontico di preproduzione per la costruzione del set di Tativille, riprese lunghe ed estenuanti, anni effettivi al montaggio rappresentano i sintomi di un’ossessione che non vuol sentire ragioni. Figuriamoci le fredde necessità di bilancio. Quando arriva però il verdetto glaciale del pubblico, non si può fare orecchie da mercante.

In una delle scene più metaforiche di Jacques Tati, Tombé de la lune ruspe e bulldozer demoliscono Tativille dopo l’insuccesso nelle sale di un film nato con tutt’altre aspirazioni. Tati, prima che una struttura venga buttata già, riesce a seppellire una sceneggiatura di Playtime e, probabilmente, i suoi sogni. È il momento dell’eclissi, della bancarotta, del cinema come professione e non più come sogno. Tati morirà nel novembre del 1982, ma in fondo è come se cominciasse ad accadere in quel preciso momento. Se Monsieur Hulot continuerà ad apparire in produzioni periferiche, dal battere della pietra focaia non scaturiranno più scintille e non si tratta più di una metafora. 

Nell’ultima sceneggiatura mai entrata in produzione, Confusion, si legge che in scena si compie la dipartita della maschera dal suo pubblico. Nell’ultimo periodo antecedente la morte terrena, il genio riconosce all’ossessione di aver prevalso su di lui portandolo alla distruzione ma con l’orgoglio di aver compiuto l’unico film che avrebbe voluto portare sullo schermo. Ed è difficile non ascoltare l’orgoglio, la passione e la sofferenza che queste parole contengono.