Esattamente dieci anni separano i due film con protagonista Janet Leigh. Atto di violenza (1948) appartiene ancora alla stagione iniziale del noir, quella immediatamente circostante il trauma della seconda guerra mondiale. L'infernale Quinlan (1958) capolavoro che segna il fugace ritorno di Orson Welles agli studios di Hollywood, è spesso identificato come il film che ne chiude il ciclo.
Nonostante la distanza, le interpretazioni di Leigh (che stanno come fermalibri ai due capi del noir) sono legate da più di un'assonanza, facendo dell'attrice un elemento sottovalutato di quella che in entrambi i casi è la dissolvenza al nero dei valori in cui si identificano gli Usa di allora.
Notoriamente il noir è proprio questo: il luogo da cui Hollywood potè elaborare in modo più radicale le contraddizioni sociali americane, piegando la sintassi classica ai moti dell'inconscio e raccontando lo smarrimento generato dalla guerra e dalla mobilità sociale (di sesso e di razza) ad essa seguita.
Critici da sinistra del mondo americano, Zinnemann e Welles aprono il fuoco su istituzioni diverse del suo corpo sociale: il primo scavando un solco nell'immagine eroica della greatest generation e della famiglia suburbana; il secondo facendo il film "di confine" per eccellenza (padre di tutti i Non è un paese per vecchi e Sicario di questo mondo), dove razzismo e violenza poliziesca endemici sono lo specchio ambiguo del ruolo degli Usa come "poliziotto del mondo".
Ingiustamente poco celebrata in un un mare di interpretazioni maschili gigantesche (da una parte Van Heflin e Robert Ryan, dall'altra lo stesso Welles e Charlton Heston; ma anche, ovviamente, un'indimenticabile Marlene Dietrich) Janet Leigh è invece un pezzo fondamentale del puzzle.
Nonostante o forse proprio in virtù di un ruolo più passivo, oscillante fra spettatrice e vera e propria damsel in distress, le sue interpretazioni offrono il controcanto morale alle tragedie che si consumano; lavorando lucidamente su ritratti di donne risolute ma impreparate a ciò che le aspetta, Leigh dà voce al nostro risveglio di spettatori sull'incubo ad occhi aperti che si cela dietro il Sogno americano.
Non per niente entrambi i film affidano a lei una scena centrale degna di un horror, dove i valori domestici superficialmente incarnati dalla all american girl sono rovesciati in modo brutale. In Atto di violenza è quella in cui il marito Frank (Heflin) terrorizzato dall'uomo misterioso che lo sta pedinando, chiude finestre e tapparelle fino a gettare l'intera casa nell'oscurità e nel dubbio, sfruttando al massimo la fotografia espressionista di Robert Surtees.
In Quinlan è la sequenza dell'"orgia" orchestrata dal malvagio detective per incastrare il marito Vargas, dove Welles dà il meglio di se tra geometrie surrealiste e maschere grottesche dal sapore quasi proto-hooperiano (Funhouse).
Al di là delle differenze di stile il senso è molto simile: uno sguardo che perde la sua innocenza, testimone impotente della sconfitta di un intero mondo valoriale. Questa Alice americana attraversa lo specchio per ritrovare il proprio universo deformato, popolato da mostri in cui lei stessa aveva creduto.
C'è una certa giustizia allora nel fatto che due anni dopo Quinlan sia arrivato Psyco (1960), dove la stessa ambiguità rivive con Leigh come protagonista assoluta (di nuovo un motel, un omicidio, occhi che fissano il vuoto), dando finalmente a una grande attrice il ruolo destinato a consegnarla alla leggenda.