Tocca a un altro Saturday Night (Live) ad attirare l’attenzione, divenendo il collegamento ideale tra il corpo atletico e danzante di John Travolta e la parodia che ne fa John Belushi, samurai ballerino, altrettanto agile e scattante, che brandendo la catana si esibisce in una memorabile performance, un’ironica e travolgente Samurai Night Fever. La figura di John Belushi è riassunta perfettamente in questo sketch televisivo preannunciando la forza della comicità demenziale dei personaggi che solo in un secondo momento porterà sul grande schermo, ruoli che trovano le proprie origini in un percorso che alterna spettacoli teatrali, programmi radiofonici e televisivi. Nonostante la scarsa documentazione, sono queste, a mio avviso, le migliori interpretazioni, indimenticabili tappe di una carriera, come ben sappiamo, interrotta bruscamente dalla sua prematura scomparsa.

Nel 1971, a Chicago, Belushi entra a far parte del gruppo di allievi di Second City, luogo di fondamentale importanza per aver valorizzato la comicità di numerosi attori che in un secondo tempo il Saturday Night Live porterà in televisione, tra i tanti vanno ricordati Bill Murray, Gilda Radner, Dan Aykroyd e Chevy Chase. Saranno questi i protagonisti di una intelligente e innovativa operazione di “recupero della comicità irriverente e fracassona dei fratelli Marx, la critica all’american way of life di un Jerry Lewis, il mescolamento di generi e narrazioni operato da film come Hellzapoppin'”. (John Belushi. L’anima blues in un corpo punk: il comico demenziale, 1991)

Fin dagli esordi Belushi delinea i personaggi che lo renderanno celebre, Joe Cocker viene portato sul palco nello spettacolo Lemmings, rivisitazione caricaturale e per molti aspetti critica del festival di Woodstock. I lemming sono delle arvicole legate a una strana leggenda avvalorata da un documentario della Disney che le vede protagoniste di suicidi di massa, è proprio questo istinto di morte, questa tendenza all’autodistruzione intrinseca nella natura delle rock star e della cultura hippie ad essere messa in scena da Belushi e compagni.

Questo successo porta Belushi a collaborare con la rivista satirica americana National Lampoon conducendo la National Lampoon Radio Hour. La fama presso il grande pubblico arriva nel 1975 con il programma televisivo Saturday Night, un concentrato di comicità irriverente e politicamente scorretta, una novità nella televisione americana, uno show che il Washington Post elogerà definendolo “il primo programma prodotto da e rivolto alla generazione della televisione, quei bambini della fine della guerra e dell’immediato dopoguerra che per primi trovarono nella TV la loro baby-sitter. Negli anni Cinquanta l’adoravano; negli anni Sessanta la detestavano e ora, negli anni Settanta, stanno tentando di appropriarsene. (…) L’audacia della trasmissione porta una ventata innovativa in un mezzo di comunicazione di massa costantemente ossessionato dalla paura di offendere qualcuno”.

Belushi ha un corpo energico e ingombrante che irrompe nell’inquadratura concentrando su di sé l’attenzione del pubblico che si affeziona a quel viso da bravo ragazzo, al movimento ondulatorio del sopracciglio che ne caratterizza l’espressività allucinata e scandisce i tempi concitati della carica sovversiva. Tra i suoi cavalli di battaglia troviamo Beethoven che si trasforma in Ray Charles, un samurai che comunica con un suo particolare grammelot, Marlon Brando, Hulk, il comandante Kirk, Joe Cocker etc…

Tra le prime apparizioni al di fuori del Saturday Night Live, ma a questo comunque collegate, troviamo Belushi e Aykroyd in The Beach Boys: It’s Ok (1976), diretto da Gary Weis proveniente dal SNL e prodotto dal creatore dello show Lorne Michaels. Quello che doveva essere uno speciale televisivo per promuovere l’uscita del disco 15 Big Ones e celebrare il quindicesimo anniversario dei Beach Boys, racchiude al suo interno un esilarante sketch in cui i due attori nei panni di due ufficiali di polizia si introducono nell’abitazione di Brian Wilson, lo prelevano dal letto dove pigramente giace e lo obbligano a seguirli per andare a surfare.

Proseguono per Belushi le esperienze esterne al Saturday Night, in un curioso documentario sui Rutles, un gruppo musicale mai esistito (sgangherata band di beatlesiana memoria), ideato da Eric Idle e diretto assieme a Gary Weis. Non c’è da stupirsi quindi se in All You Need Is Cash (1978) il marchio di fabbrica dei Monthy Python si faccia sentire in ogni singola scena nonostante la presenza di un nutrito gruppo proveniente dal Saturday Night Live. Belushi si distingue nel ruolo del temibile manager Ron Decline, un uomo violento e spregiudicato  che al suo passaggio lascia una scia di suicidi e disperazione.

Verso il sud (1979), nonostante sia uscito dopo Animal House (1978), è la prima esperienza cinematografica di Belushi qui diretto da Jack Nicholson in un western burlesco che lo vede interpretare un vice sceriffo messicano (citazione dello sketch The Killer Bees del Saturday Night Live), ruolo secondario e poco valorizzato dal regista. Bluto è invece l’“animale” sfrenato diretto da John Landis, personaggio provocatorio che rende giustizia alle abilità di Belushi coniugando insieme “la presenza ingombrante di un Oliver Hardy, la capacità distruttiva di un Jerry Lewis, l’innocenza di un Buster Keaton e l’abilità mimica di un Harpo Marx (ma in realtà egli è tutti e tre i fratelli Marx assieme…)”.

Lo stesso anno esce Old Boyfriends. Il compagno di scuola di Joan Tewkesbury, storia di vendette inflitte da una psicologa ai suoi fidanzatini del liceo, elenco che comprende anche Belushi, sciupafemmine che, come ai tempi della scuola, si scatena sul palco e per la prima volta sul grande schermo, assieme alla sua band intonando Tush degli ZZ Top.

Steven Spielberg in 1941: allarme a Hollywood (1979), un po’ sull’esempio di Animal House, distribuisce lungo la narrazione le apparizioni di John Belushi, qui Wild Bill Kelso, pilota d’aereo a caccia di soldati giapponesi, quasi una citazione dal Rocky Horror Picture Show (1975), vista la somiglianza con il motociclista massacrato nel film interpretato da Meat Loaf, sembra tra l’altro che i due fossero in buoni rapporti. Il ruolo di Belushi, nonostante sia piuttosto centellinato nel tempo, non è mai marginale e ad ogni sua comparsa crea scompiglio e distruzione prima di sparire inghiottito dalle acque dell’oceano a bordo del sottomarino comandato da Toshiro Mifune; siamo nel 1941 e lo spettro di Pearl Harbor si aggira per la California.

Il 22 aprile del 1978, Belushi e Dan Aykroyd si mostrano al pubblico televisivo del Saturday Night Live di nero vestiti e nascosti dietro due Ray-Ban Wayfarer. In realtà non è la prima volta che indossano i costumi dei fratelli Blues, è lontano dagli schermi che i personaggi sono stati assimilati da questa coppia così ben assortita e affiatata che ha saputo reinterpretare l’anima blues e soul della musica. Nei mesi successivi i Blues Brothers, prima della definitiva apparizione sul grande schermo nel 1980, vengono ingaggiati da Steve Martin per aprire i suoi spettacoli teatrali, nel dicembre dello stesso anno esce il primo disco Briefcase Full of Blues (vincitore di due dischi di platino) e aprono il lungo concerto dei Grateful Dead al Winterland di San Francisco.

Se è vero che il nostro destino è scritto nel nome, ammetto che mi sto lasciando un po’ prendere la mano, quello di Belushi era ben chiaro fin dal principio e, leggendo “hi blues”, l’anagramma del suo cognome, non è facile trattenere una risata… Chiamami aquila (1981) di Michael Apted, sceneggiatura di Lawrence Kasdan, per alcuni è il risultato, forse un po’ maldestro, di una svolta nella carriera di Belushi che voleva lasciarsi alle spalle i ruoli precedenti così ingombranti divenendo, come lui stesso spiega, “un essere umano che questa volta può leggere e scrivere e relazionarsi con la gente, all’opposto di tutti i personaggi da cartoon 'più grandi della vita' precedenti”.

Con I vicini di casa si conclude la breve filmografia di Belushi, ancora una volta in coppia con Dan Aykroyd anche se il modo di spalleggiarsi è del tutto nuovo, il primo, un uomo di mezza età chiuso tra le mura domestiche, tenta invano di difendersi da un giovane allampanato che entra in modo irruento nella sua piatta esistenza. Due modi di affrontare la vita agli antipodi che creano dissapori e fraintendimenti fino a quando, finalmente, ci sembra di vedere i veri Belushi e Aykroyd ritrovarsi in un finale spiazzante.

John Belushi muore a Los Angeles nel 1982, anni prima in uno sketch del SNL dal titolo Don’t Look Back in Anger aveva saputo scherzare sulla morte immaginaria dei suoi colleghi e amici inscenando una danza surreale in un cimitero innevato: “Perché sono rimasto proprio io? Perché sono vissuto così a lungo mentre loro sono morti tutti? Ve lo dico io il perché! Perché sono un ballerino!”. Non diciamo che se la sia tirata, anzi, nonostante la scomparsa prematura, è stata proprio questa sua irriverenza sempre un po’ sopra le righe ad essere rimasta intatta nel tempo trasformandolo in oggetto di culto. Ma, come lui stesso afferma nel filmato, l’essere stato un ballerino, sul palco nei panni di Jake Blues aggiungerei, lo ha di certo salvato dall’oblio.