Se potessimo ridurre il cinema cult americano a un singolo nome, sarebbe inevitabilmente quello di John Landis. Pochi registi sono stati in grado di plasmare l’immaginario comico statunitense come ha fatto lui. Demenziale, iconoclasta, spassosissimo, il suo cinema è un concentrato di ironia beffarda che resiste al passaggio del tempo. Si è sentita tutta anche lo scorso mercoledì, alla conferenza stampa per la presentazione del corso di International Filmmaking Academy, di cui Landis è l’ospite speciale.

Nelle prossime settimane, l’autore seguirà un gruppo di giovani filmmaker internazionali nella realizzazione dei loro corti a Bologna. Sempre negli stessi giorni, inoltre, parteciperà a una serie d’imperdibili incontri pubblici: la proiezione di Blues Brothers, che il regista presenterà stasera in Piazza Maggiore, sarà l’evento di punta di questo suo soggiorno. Ma nemmeno la sfilza di impegni riesce a scalfire il sarcasmo cinefilo di Landis, che in riferimento all’Italia ha chiosato: “Mi paragonano spesso a Dante. Sfortunatamente si tratta di Joe Dante”.

Durante l’incontro, Landis si è espresso in maniera precisa sulla situazione attuale dell’industria cinematografica, gravata dagli effetti della pandemia e dall’avvento dello streaming: “Visto il recente successo al box office di film come Top Gun, si può sperare che si possa tornare lentamente all’abitudine cinematografica della sala. Come regista penso che un film debba essere visto non sul telefono o sul computer, ma in un vero cinema, assieme alle persone. Il pubblico è una degli elementi più importanti dell’esperienza filmica, perché l’emozione è contagiosa, e il cinema è soprattutto un evento comunitario”.

Il regista americano ha partecipato alla conferenza insieme alla moglie Deborah Nadoolman, rinomata costumista che ha collaborato col marito per buona parte della sua carriera, e che proprio ieri ha tenuto un’interessantissima masterclass sulla storia dei costumi hollywoodiani. Deborah ha ricordato che l’Italia è la patria dei migliori costume designers al mondo, citando anche Giulietta Degli Spiriti fra le sue fonti di ispirazione: “Credo che i costumi siano un filo rosso di connessione nel cinema italiano, è qualcosa che viene trasmesso quasi in modo ereditario. Mi ricordo quando da piccola vidi per la prima volta i costumi indossati da Giulietta Masina nel film di Fellini, fu un momento illuminante”.

Non sono mancate poi le domande riguardanti la filmografia di Landis, soprattutto sul mitologico Blues Brothers. Il regista si è dunque divertito a raccontare dell’origine del film e della passione di John Belushi e Dan Aykroyd per la musica R&b, e a ripensare all’eredità culturale lasciata da quel cult. Senza mai perdere il suo senso dell’ironia: quando gli è stato chiesto se ci fosse qualche scena dei Blues Brothers che volesse cambiare, Landis ha risposto: “Per i numeri musicali avevamo usato ballerini non professionisti, e il risultato è stato disastroso. Quando sono stato chiamato da Michael Jackson qualche anno dopo per girare il video di Thriller, insieme a un gruppo di ballerini professionisti, ho subito pensato «Finalmente posso girare dei numeri musicali come si deve!» ”.