I ballerini, quelli consumati dalla passione per l'arte come la protagonista di Scarpette rosse, non vanno in pensione ma muoiono. Così dice in Kemp, presentato a Biografilm 2019, proprio Lindsay Kemp, ritratto poco prima della sua scomparsa ad agosto 2018. Febbrile di idee e lievemente malinconico per l'aborto del suo ultimo progetto creativo, Dracula, a causa dei produttori, Kemp accoglie Edoardo Gabbriellini nella casa di Livorno dove ha vissuto i suoi ultimi anni, e racconta la sua vita di ballerino, coreografo, attore nonché creatore di mondi visivi peculiari, tramite trucchi, costumi e scenografie di sua concezione.

Quasi ottantenne, Kemp è il perfetto cantore della propria leggenda un tempo fulgida, oggi forse un po' appannata ma non trascorsa. Indomito animale sul palcoscenico della vita, con movimenti facciali iper-espressivi e languidi movimenti delle mani racconta di sé, da quel Flowers che lo fece esplodere sulla scena teatrale alla fine degli anni Sessanta, al rapporto col suo maestro di mimo Marcel Marceau, alle collaborazioni cinematografiche con Ken Russell e Derek Jarman. Solo su David Bowie preferisce non dilungarsi, tanto che Gabbriellini si affida a vecchie interviste, visto che il lavoro sull'illustre allievo e sulla messa in scena dei concerti di Ziggy Sturdust hanno finito per fagocitare nella cultura pop qualsiasi altra sua espressione artistica.

Per il resto è generoso e suadente, e, come sempre fuori e dentro un palco, maestoso eppure ironico, elegante ma camp. Si compiace con evidente divertimento dei suoi racconti e delle sue iperboli, raccontando degli uomini della sua famiglia tutti marinai e tutti morti per mare, o di come sia stata proprio la vecchia zia omofoba a finanziare con la sua eredità uno spettacolo condito di sangue, sperma, falli e baccanali orgiastici. Dichiara con una sincerità di fondo di non aver mai avuto intenzione di scioccare il pubblico ma piuttosto di elettrizzarlo, però sorride ingenuo come una vecchia volpe. È così fottutamente soave (per citare il giudizio sul Ben di Velluto blu che gli è chiaramente debitore) che lo si potrebbe restare ad ascoltare per ore.

Forse Kemp non riuscirà a dire niente di nuovo ai cultori del suo protagonista, che comunque godranno delle sue parole come godevano da piccoli della stessa favola ogni sera, ma farà probabilmente venire voglia di saperne di più a chi non conosceva nulla di lui. Considerato che c'è parecchio di lui in quell'uomo calvo, col viso pesantemente biaccato e le labbra scure come una ferita, dischiuse in un sogghigno indecifrabile, che alberga nel nostro immaginario inquieto di immagini filmiche, ci pare un'ottima notizia.