Come tutti sanno, la star del basket Kobe Bryant è morto assieme alla figlia Gianna di 13 anni a seguito di un incidente in elicottero a Calabasas, zona a nord-ovest di Los Angeles. Il mondo dello sport è in lutto, e anche tutti coloro che, pur non essendo tifosi, hanno assistito alle prodezze del campione con stupore e ammirazione. Visto che talvolta, come nel caso di Kobe Bryant, il gesto sportivo assume caratteri quasi cinematografici per bellezza ed eleganza, riproponiamo una riflessione sul lavoro che Spike Lee girò insieme al grande cestista.
Tifoso dei Knicks e autore di un libro sull'argomento (Best Seat in the House – A Basketball Memoir), Spike Lee ha sottolineato il lato estetico-visivo della pallacanestro negli spot Nike degli anni Ottanta con Michael Jordan, ma anche la concezione di tale sport come metafora di vita, fatto di scelte necessarie, rapide e a volte dolorose che possono condizionare il risultato finale (He Got Game).
Con Kobe Doin' Work, realizzato per la ESPN, dunque Lee gioca in casa. Seguendo la scia di Zidane - Un ritratto del 21° secolo, il regista sposta l'obiettivo dal campo madrileno al parquet di Los Angeles, scegliendo di “marcare” Kobe Bryant, il miglior giocatore NBA degli ultimi anni, in una delle partite più importanti della sua carriera: quella contro gli Spurs per la finale del torneo della Western Conference e per il titolo Most Versatile Player 2007/2008.
Il film segue l'atleta prima, durante e dopo la partita che, ripresa da trenta videocamere e accompagnata da un commento a posteriori del giocatore, non resta un semplice documentario sportivo, ma diventa una sorta di lezione di pallacanestro. Bryant è infatti precisissimo nello spiegare le tecniche e le azioni che prendono piede sullo schermo, senza escludere – con eccessivi tecnicismi – lo spettatore meno avvezzo, guidandolo anzi passo passo con l'evolversi del match.
La regia e il montaggio (affidato all'inseparabile Barry Alexander Brown) fanno il resto. Al ritmo forsennato della partita, le inquadrature si susseguono senza mai perdere di vista il soggetto principale, registrando ogni suo minimo gesto in campo, dagli sfottò alle espressioni di esultanza, dai tatticismi suggeriti ai compagni alle rapide acrobazie di gioco.