L’ingresso alla mostra Stanley Kubrick: The Exhibition (Design Museum, Londra, fino al 15 settembre) esalta la ricerca della simmetria formale del regista, scomponendo una serie di iconiche inquadrature in un corridoio formato da sedici monitor centrali e altrettanti laterali. Il visitatore è costretto a concentrarsi sull’unico punto di fuga possibile: abbracciare e condividere quelle stesse ossessioni formali e tematiche che popolano il mondo del regista. Entriamo così a capofitto nel geniale e inquieto universo di Kubrick fluttuando nel modulo della Discovery One, infangandoci nella trincea di Orizzonti di Gloria, percorrendo il corridoio dell’Overlook Hotel e il vialetto innevato del suo giardino, sganciando la bomba del Dottor Stranamore, vivendo nella camerata di Full Metal Jacket e partecipando alla ronda dei carcerati di Arancia Meccanica.
La narrazione del percorso artistico di Kubrick continua quindi con una vasta sala generale che percorre tutte le diverse fasi della produzione cinematografica, dalle ricerche sul soggetto e sulle location delle riprese, rappresentate da un pezzo della monumentale biblioteca messa insieme per il progetto mai girato su Napoleone, al marketing finale con i poster dei diversi film del regista, incluso quello affascinante di Saul Bass per Spartacus che riesce a rendere visivamente le catene del Maccartismo attraverso la storia romana. Successivamente, un corridoio artistico ripercorre tutti i film di Kubrick, adottando una prospettiva tematica più che cronologica e sfociando in un’ampia sala finale dedicata a 2001: Odissea nello Spazio, rifiutando, in qualche modo, una chiusura e un bilancio artistico ma proiettando visitatore e produzione del regista nel futuro. Dato il carattere del museo che ospita la mostra, il percorso evidenzia l’importanza del design nell’opera di Kubrick, ricostruendo il controverso e conflittuale rapporto con Allen Jones per il mobilio erotico del Korova Milk Bar di Arancia Meccanica (una collaborazione che, alla fine, non si realizzò), documentando la ricerca dietro i costumi di Milena Cannonero, particolarmente per Barry Lyndon, e ricreando il design minimalista del Hilton Space Station 5 per 2001: Odissea nello Spazio all’interno della quale troviamo un precursore dei moderni tablet.
In occasione del ventesimo anniversario della morte di Kubrick, il Design Museum di Londra, in collaborazione con il DFF – Deutsches Filminstitut & Filmmuseum di Francoforte, la moglie Christiane Kubrick, il produttore esecutivo degli ultimi quattro film Jan Harlan, e l’Archivio Kubrick presso la University of the Arts London, offre l’opportunità di un immersivo viaggio autoriale lungo tutto il processo creativo dietro ad ogni film del regista, documentando le diverse fasi della produzione artistica. I 500 oggetti in mostra sono, quindi, i più diversi: note di regia scarabocchiate su disegni di set e inquadrature, story-board di film effettivamente realizzati (Saul Bass per Spartacus) e di altri per progetti abbandonati o lasciati ad altri registi (Chris Baker per Artificial Intelligence), obiettivi e lenti valorizzati da Kubrick come lo Zeiss F0.7 da 50 mm utilizzato in Barry Lyndon per rendere l’atmosfera del tardo Settecento girando alla sola luce delle candele, macchine per il montaggio come quella utilizzata per Full Metal Jacket.
Il filo rosso che accomuna tutti questi materiali è la maniacale e quasi ossessiva cura di Kubrick per i minimi dettagli e la sua ambizione autoriale di esercitare il controllo artistico su tutto l’arco produttivo delle sue opere. Non a caso, Kubrick definisce il montaggio come il suggello della creazione artistica e quindi come il momento in cui la sua presenza è particolarmente significativa: “Niente viene tagliato senza il mio consenso. Sono al montaggio ogni secondo”. Il sorprendente match-cut di 2001 con lo stacco dall’osso lanciato da Guarda-la-Luna al satellite in orbita costituisce l’omaggio più evidente alla predilezione di Kubrick per il montaggio.
Il percorso della mostra mette in evidenza come il controllo autoriale agito da Kubrick non sia, tuttavia, fine a sé stesso ma frutto della volontà del regista di cambiare radicalmente la grammatica cinematografica, sia a livello formale che contenutistico, proponendo soluzioni per filmare temi (si pensi a Lolita e Arancia Meccanica) e adottare accorgimenti tecnici (steadycam per i corridoi di Shining) fino ad allora ritenuti non percorribili dal linguaggio cinematografico.