Le mostre complementari #FacceEmozioni. 1500-2020: dalla fisiognomica agli emoji e I 1000 volti di Lombroso, appena concluse al Museo Nazionale del Cinema di Torino, indagano in modo interdisciplinare i rapporti tra cinefilia e archivi di volti del passato e del futuro. Archivi che, talvolta, diventano impossibili da controllare nelle loro deformazioni e mutazioni, diventando così folle di volti e, nelle loro infinite modificazioni digitali, quasi perdono quel realismo ontologico baziniano che rappresenta storicamente un punto di partenza per lo studio del cinema.

La mossa dei curatori delle due mostre è ardua e provocatoria: difficile immaginare un terreno comune tra fisiognomica, pseudoscienza che collega tratti somatici e caratteristiche morali, e arti espressive, tra tassonomie per riportare ordine nel reale e maschere carnevalesche per sovvertire le gerarchie, tra calchi mortuari di criminali e emoji digitali. Eppure, come afferma Donata Pesenti Compagnoni nella pubblicazione dedicata alle due mostre, il rapporto tra arti visive e fisiognomica affonda le proprie radici in una cultura permeata di cinefilia. Lo stesso Museo del Cinema di Torino ha, fin dalla fondazione ad opera di Maria Adriana Prolo, sempre avuto una vasta collezione di pubblicazioni dedicate alla fisiognomica.

L’itinerario delle mostre ci porta a viaggiare tra fisiognomica ed arti espressive in senso lato, quindi non solo cinema, ma anche teatro, fotografia, ritrattistica, arte digitale e percorsi virtuali. L’idea delle due mostre, come quella di Prolo quando negli anni 50 iniziò a lavorare sia alla sua collezione di fisiognomica che alla progettazione del Museo del Cinema, è proprio quella di creare una storia della visione interdisciplinare e che combini dimensioni sincroniche e diacroniche. Folgorante, per esempio, l’inizio della sezione dedicata alla fisiognomica che ci mostra i volumi di Johan Caspar Lavater, di Giovan Battista della Porta e Charles Le Brun e quel costante lavoro di smontaggio delle parti di un volto per metterne in evidenza le caratteristiche morali. In modo diacronicamente vertiginoso, il percorso accosta le tavole zoomorfe di Giovan Battista della Porta con il montaggio analogico e attrazionale di Sciopero! (1925) di Ejzenstejn, in cui i diversi tipi morali sono rappresentati attraverso la dissolvenza dei loro volti umani in quelli animali da cui prendono il soprannome.

Dagli otto vetri colorati per lanterna magica ispirati dall’opera di Le Brun con ventidue volti che esprimono altrettante emozioni, passiamo alla legittimazione dell’autonomia espressiva dei primi piani cinematografici, capaci di rinunciare alle esagerazioni teatrali del muto per arrivare all’empatia comunicando stati emotivi.  Ecco allora che proviamo “un’impressione di prossimità”, per citare le parole di Jean Epstein, verso la carrellata di personaggi divistici in cui la nostra immaginazione sfuma i confini tra la follia di Kinski e Aguirre, il fascino della macchina da presa su Gloria Swanson e Norma Desmond, la bellezza del mare vista da Jean-Pierre Léaud e Antoine Doinel, la perversione seducente di Perkins e Psycho, la malinconia infinita di Stefania Sandrelli e Adriana Astarelli.

La riflessione sul primo piano è arricchita anche dalle suggestioni teatrali della maschera e delle deformazioni del volto dal palcoscenico alle nuove tecniche digitali a cui ricorrono sia il cinema che le arti contemporanee. Spesso le installazioni di artisti contemporanei puntano proprio a smascherare l’ambizione della fisiognomica ottocentesca e lombrosiana di sorvegliare e punire. Guardando tutte queste rappresentazioni del volto apriamo e liberiamo i compartimenti stagni in cui dividiamo il sapere. Forzando Edgar Morin, siamo davvero in presenza di teste ben fatte.