Terza Liceo di Luciano Emmer è uno dei film più amati dallo stesso regista. Quarto lungometraggio dell'artista, prodotto nel 1954, è, fra le sue opere, quella che in modo più efficace riesce a entrare nel quotidiano dei suoi personaggi.
La storia, tanto semplice quanto coinvolgente, narra le vicende dei ragazzi della classe IIIC di un liceo romano, percorrendo interamente il loro ultimo anno scolastico: dal primo giorno di scuola agli esami di maturità. Le vite degli alunni si intrecciano tra amori, non sempre felici e spesso contrastati dagli interventi dei genitori, e rapporti di amicizia. Molto spesso i ragazzi sono autori di piccole ribellioni, come la circolazione di un giornale scolastico abusivo, con cui manifestano la loro ricerca di indipendenza nel passaggio all'età adulta. Come di consueto nei film di Emmer non vi è un protagonista, ma la pellicola racconta gli avvenimenti di numerose figure minori dove, nel complesso, nessuna prevale mai sull'altra. Una vicenda collettiva che acquista un importante significato solo se tutti gli elementi concorrono alla narrazione e se descritta con particolare attenzione al suo contesto storico e sociale.
A dispetto della sua inclinazione a raccontare in modo così realistico personaggi tipo, delineati perfettamente come prodotto della classe sociale a cui appartengono, il regista non ha mai avuto intenti documentaristici; nonostante ciò è innegabile che questo film sia un documento della società dell'epoca.
La critica ha sempre giudicato il neorealismo di Emmer come un qualcosa di imperfetto o semplicistico, troppo lontano dai canoni del genere. Il regista opera all'interno di un neorealismo sperimentale, rivisitando gli elementi del neorealismo in modo molto più intimo. È stato più volte accusato di produrre lavori poco impegnati, perché l'attenzione non è focalizzata su problematiche importanti, ma la spensieratezza e la leggerezza che i suoi film esprimono non sono altro che un dipinto fedele dell'atteggiamento che animava il popolo italiano nel secondo dopoguerra.
Con la leggera ironia dei dialoghi, sempre molto congeniale alle sue commedie, riesce a esprimere ogni sfaccettatura dell'Italia a lui contemporanea. Viene dipinta anche la figura della donna che cerca di emergere in un paese che si sta facendo sempre più dinamico. Con poche frasi viene mostrato il cambiamento in atto nella società e la difficoltà di ottenerlo: “A volte penso che dovresti studiare architettura, (…) a meno che tu finito il liceo non abbia qualcosa di meglio da fare” - “Che cosa?” - “Non so, sposarti.” - “Ci mancherebbe altro!”
Non aver apprezzato Emmer nella misura in cui avrebbe meritato non è una colpa che si può attribuire alla critica dell'epoca, ma al semplice fatto che questo regista può essere colto nella sua pienezza solo con un distacco storico. Le sue pellicole, riviste a distanza di decenni, possono essere annoverate come un elemento rappresentativo di un particolare periodo della società italiana, una fenomenologia dell'epica quotidiana che propone un richiamo al messaggio di tolleranza e rispetto umano.