Ultimo film girato da Powell per la Gaumont-British/Gainsborough, La luce fantasma (1935) fa parte delle opere del regista realizzate su commissione anche se venne prodotto come un normale lungometraggio e non come un quota quickie. A differenza di altri film del periodo, il film convinse da subito il regista che ne intravide le possibilità commerciali: “Sono un vero appassionato di fari. Più sono isolati e inaccessibili, più mi piacciono. E amo i thriller comici. Quindi ho accettato immediatamente di dirigere questo film e non me ne sono mai pentito. È meglio non rivelare troppo della trama”. Il film era un’opportunità per Powell di sganciarsi da un mercato di serie B per realizzare progetti più personali, come quello che divenne, due anni più tardi, The Edge of the World (1937).

Senza contravvenire al desiderio di Powell, che rivendica già un’ironica ambizione autoriale (ironica in quanto la trama non è certo la cosa più originale del film), diremo allora che questa commedia gialla si svolge principalmente proprio in uno di quei fari isolati, tanto amati dal regista, al largo della costa gallese. Qui il nuovo guardiano Sam Higgins deve tenere a bada non solo le presenze dei suoi defunti predecessori ma anche il sospetto fantasma della stessa luce del faro che rischia di far schiantare la nave Mary Fern sulla scogliera. Higgins scoprirà ben presto di non potersi completamente fidare della comunità locale, mentre l’apparentemente svampita Alice Bright e il prestante Jim Pearce avranno modo di giustificare la loro presenza clandestina nel faro.

Come in altri film precedenti il sodalizio con Pressburger, La luce fantasma mostra già la creatività visiva di Powell e le scene che descrivono l’impervio paesaggio gallese anticipano, pur nella differenza del tono generale decisamente più leggero, le immagini della natura scozzese di The Edge of the World e, in generale, la costante fascinazione di Powell per il paesaggio e per gli elementi naturali colti nella loro interazione con i personaggi. Oltre che nel successivo film sullo spopolamento delle isole scozzesi e La luce fantasma, il mare è un elemento fondamentale anche per un’altra importante opera di questo periodo, The Red Ensign (1934), dove la vicenda acquista una valenza simbolica e metaforica nel contesto di un appello per gli aiuti governativi alla cinematografia britannica.

Un altro motivo di interesse per La luce fantasma risiede nel piacere ludico con cui Powell abusa consapevolmente delle convenzioni di genere per catturare progressivamente lo spettatore nella narrazione, arrivando quasi a mettere in evidenza la poca logica che regola il succedersi degli avvenimenti, messa in secondo piano rispetto ai colpi di scena e alle battute fulminanti. Fin dalla sequenza iniziale che richiama i film horror della Universal degli anni Trenta e le ombre proiettate sui muri di tanto cinema espressionista e noir per continuare con le scene più leggere da commedia romantica e slapstick che servono per presentare il contesto del villaggio gallese, lo spettatore è calato in un tour de force di generi che culmina con l’arrivo al faro. Qui i registri dei generi continuano a mischiarsi, alternando anche, tramite gli effetti di un montaggio particolarmente efficace e ritmato, la claustrofobia degli ambienti del faro con riprese del suo esterno e dello scampato naufragio della Mary Fern. Anche i registri linguistici si mischiano nel film generando una babele di dialetti e accenti che, similmente a quanto accade per la logicità del racconto, fa saltare anche la comunicazione tra i personaggi, accentuando il carnevalesco che domina tutta la vicenda.