Éric Rohmer è sempre stato un autentico filosofo dell’animo umano, intento a scandagliare i sentimenti e i capricci dei suoi personaggi, facendo dialogare il maschile con il femminile ma anche lavorando sulle diverse sfumature caratteriali e ideologiche della femminilità, quale universo complesso e sfaccettato.
La sua vasta filmografia è principalmente suddivisa in tre cicli: Sei racconti morali, Commedie e proverbi e Racconti delle quattro stagioni, tre raccolte strutturate come dei compendi filosofici in cui il maestro francese riflette con arguzia e ironia sui rapporti interpersonali (sentimentali, amicali, parentali).
Le Commedie e proverbi sono un ciclo di sei film la cui struttura è modellata sulla falsariga delle raccolte teatrali di Alfred de Musset, il quale siglava i titoli dei propri lavori con dei brevi aforismi. Rohmer dopo aver realizzato due film in costume (La marchesa Von… e Il fuorilegge), ispirati a opere letterarie (Heinrich Von Kleist e Chrétien de Troyes), decide di utilizzare una struttura teatrale per mettere in scena dei girotondi di sentimenti, dubbi e delusioni, in cui la donna è sempre il perno attorno a cui ruota l’intera vicenda, mentre l’uomo resta spesso in balia dei suoi capricci, delle sue scelte e dei suoi sbalzi di umore.
Ma cambia anche l’approccio alle storie rispetto al ciclo precedente dei Sei racconti morali, in cui vigeva la formula del teorema come punto di vista esterno sulla vicenda (lo sguardo dell’autore stesso), partendo dal punto di vista interno ovvero quello della protagonista e non si tratta più di intellettuali o donne spesso sofisticate ma di ragazze comuni, come studentesse, commesse e impiegate.
La moglie dell’aviatore vede protagonista Anne (Marie Riviere che ritroviamo nel quinto capitolo, Il raggio verde), quintessenza della femminilità che caratterizza l’intero ciclo, una giovane donna indipendente, indomita e volubile, che si lega prima a Christian, un aviatore sposato, e poi a François, uno studente. Questo triangolo viene poi a frantumarsi nel momento in cui Christian la lascia per tornare definitivamente con la moglie. Il film si apre su questa chiusura di rapporto, ma il caso vuole che François veda uscire Christian dall’appartamento di Anne e pensa che siano tornati nuovamente insieme, decidendo così di pedinarlo.
Rohmer compone una ronde sentimentale fatta di traiettorie del cuore e del destino (non facendo mai coincidere le une con le altre), ricca di spostamenti fisici (il tragitto a casa di Anne, il viaggio in autobus, il pedinamento al parco) che mimano i sobbalzi emotivi dei personaggi, i quali si incontrano, si scontrano, si perdono e si ritrovano per poi perdersi di nuovo, un film in cui la casualità dell’incontro finisce per essere un equivoco, un inganno romantico.
Ne La moglie dell’aviatore è ben rappresentato il doppione oppositivo dei caratteri femminili, da un lato abbiamo Anne, impiegata lunatica e scontrosa, dall’altro Lucie, studentessa radiosa e sbarazzina, che François conosce mentre sta pedinando Christian e coinvolgendola nel pedinamento (una sorta di gioco poliziesco, una parodia di genere appena suggerita) tra i due nasce una sottile complicità.
Nell’alternanza di interni (l’appartamento di Anne, lo studio dove lavora) e esterni (le vie di Parigi, il parco), Rohmer imprime alla struttura teatrale una certa naturalezza, attraverso lunghi dialoghi che sembrano fluire spontaneamente dagli interpreti e grazie anche a un impiego anti-spettacolare dei volti e dei corpi, quasi come se i soggetti ripresi fossero colti nella loro quotidianità.
Con La moglie dell’aviatore, Rohmer inaugura un esperimento antropologico (dopo la sociologia dei Sei racconti morali) costituito da una leggerezza formale e da una profondità di contenuti, in cui artificio e naturalezza si strizzano vicendevolmente l’occhio, basterebbe citare a tale proposito una delle ultime battute pronunciate da Anne: “La vita a me piace soprattutto quando assomiglia a un romanzo”.