L'interesse di La quercia dei giganti (1948) di George Marshall, pomposo melodramma sulla guerra di secessione statunitense nato sulla scia di Via col vento, non si trova tanto negli aspetti più romantici e avventurosi della trama, né nella magniloquenza delle scene di battaglia o nella lucentezza del technicolor. L'interesse maggiore del film di George Marshall è, per così dire, storiografico e dipende dalla rappresentazione degli anfratti della storia e della cultura statunitense in cui è maturata quella certa mentalità libertaria, caratterizzata da una certa allergia nei confronti dell'ordine e delle istituzioni e da un forte e individualista attaccamento alle proprie cose, origini e conquiste. Un conflitto tra "individualismo" come sinonimo di potenti valori originari e "ordine" castrante che, d'altronde, potrebbe trovare una propria metafora nella stessa guerra civile e nella sua genesi, e che è inevitabilmente legato al mito della conquista della frontiera e della wilderness, immediatamente richiamate all'inizio dalla targa posta alle radici della quercia che danno il titolo al film.  

Questa targa ci introduce il luogo – una vallata nello stato del Missisipi - e la famiglia protagonista – i Dabney - , sottolineando che in quelle terre non c'era nulla prima del loro arrivo, e che ora tutto ciò che gli occhi possono vedere da quel punto è loro proprietà e creazione. Allo scoppio della guerra di secessione, la famiglia decide di rendere indipendente la sua vallata, in qualche modo estranea sia ai sudisti che ai nordisti, ma ribellandosi soprattutto ai primi. In questo evolversi degli eventi, diventa decisiva la primogenita Morna, al centro di una sorta di triangolo sentimentale con due dei principali protagonisti della vicenda bellica.

Per uno di quei voli pindarici che creano sottili legami tra film diversi, Tap Roots (questo il titolo originale) si muove nello stesso territorio di un'opera quale L'uomo che uccise Liberty Valance di John Ford; il conflitto tra ordine e disordine e il passaggio di consegne dal secondo al primo, col disordine che smette di essere, per così dire, istituzione. In Ford, questa trasformazione è chiara nella contrapposizione tra il vecchio cowboy interpretato da John Wayne e il senatore interpretato da James Stewart, mentre in Marshall il discorso viene filtrato dalla rappresentazione di un nucleo famigliare in qualche modo incapace di adattarsi e di venire a patti con gli eventi per la paura di perdere l'assoluto controllo. Mentalità immediatamente spiegata dall'anziano patriarca, il quale esclama che nessuno può pensare di mettere le mani sulla sua valle. In qualche modo, l'utopia di creare uno stato nello stato e di rimanere totalmente neutrali e indipendenti, è una sorta di ufficializzazione dello stato delle cose già esistente nella valle e contemporaneamente la sua pietra tombale.

Un altro volo pindarico può permetterci di legare il film di George Marshall ad un'altra opera selezionata in questa edizione del Cinema Ritrovato; il bel noir precessuale Storm Warning (1951) di Stuart Heisler. Non ci troviamo di fronte alle origini della nazione – non riecheggiano né la frontiera, né la ferita della guerra civile -, ma siamo ancora nell'America più rurale e sudista, dove, a metà del XX secolo, il conflitto "disordine" e istituzione viene filtrato nella lotta tra un procuratore distrettuale e il Ku Klux Klan radicato fin nei profondi meandri del territorio come istituzione parallela.

Aldilà di queste riflessioni e contestualizzazioni, per così dire, storiografiche, e aldilà di una manciata di sequenze magniloquenti e potenti – su tutte, la battaglia finale -, George Marshall non riesce a dare al suo melodramma storico e bellico la giusta dose di pathos, romanticismo e tensione. La quercia dei giganti vive molto di momenti, ma complessivamente non riesce a togliere nello spettatore la sensazione di assistere ad una sorta di "remake" e di aggiornamento un po' stanco di Via col vento. A partire dalla coriacea e sofferta giovane donna protagonista.

La quercia dei giganti è ispirato alla storia vera di Newton Knight, propietario di una fattoria il quale, allo scoppio della guerra civile, tentò di staccare la contea di Jones dallo stato del Missisipi, creando uno squadrone – la "compagnia di Knight" – di disertori confederati in rivolta contro la confederazione sudista.