Esce in sordina La ragazza di Stillwater dopo il suo passaggio al Festival di Cannes 2021. Strana sorte per una pellicola sulla carta destinata a dominare, scritta e diretta da Tom McCarthy, premio Oscar per Il caso Spotlight (2015), con protagonista Matt Damon, altro premio Oscar e garanzia di alto mestiere su più di un fronte cinematografico, dalla durata poderosa, di quasi due ore e mezzo.

Spotlight, Stillwater: McCarthy ama titolare le sue sceneggiature in modo scarno. Nel film di sei anni fa l’indagine giornalistica che portò al disvelamento degli abusi sessuali su minori compiuti per anni dal clero statunitense, oggi un altro caso a cavallo fra Europa e America, che riporta alla mente quello di Amanda Knox. Non è però l’Italia il paese del vecchio continente che fa da contraltare al profondo cuore statunitense, ma la francese Marsiglia, dove Bill, carpentiere cinquantenne dell’Oklahoma, si reca ciclicamente per visitare la figlia di vent’anni e poco più, Allison, in carcere da cinque. L’accusa è quella dell’omicidio di Lina, sua fidanzata araba trovata senza vita nell’appartamento studentesco in cui le due convivevano, del quale Allison si dichiara da sempre innocente.

Sulla traccia di un nuovo indizio che potrebbe riaprire il caso, Bill intraprende un’indagine privata che lo trattiene in Francia per un tempo prolungato, dai confini sfumati, e gli concede una molteplice occasione. Quella di scagionare Allison, riscattare un passato di cui non va fiero, recuperare il rispetto di una figlia che non lo stima, dubitare poi della sua parola oltre che dei propri mezzi e valore, e incidentalmente conoscere l’Europa, la sua sofisticata astrattezza contrapposta allo spiccio pragmatismo americano, ritrovarsi proprio in questa uomo, compagno e padre. Un po’ troppo per un solo film? Probabilmente sì.

La ragazza di Stillwater vive di più anime e risente dell’indecisione del McCarthy sceneggiatore nell’eleggerne una su tutte. Sembrano rilanci del racconto i successivi snodi che fanno cinema di banlieu, romanzo sentimentale, dramma filiale, giallo da sbrogliare, confronto culturale e molto altro ancora, ma alla lunga appaiono come tracce che appesantiscono, in trama e durata, un film messo in scena con sapienza e ritmo, dall’ottima direzione degli attori.

Fra tutte, la pista del rozzo yankee un po’ ignorante che rinasce ed evolve nel confronto con una figlia scaltra e perduta anche per sue colpe è quella più interessante: sarebbe stata sufficiente a reggere l’intero film, ma McCarthy la lascia emergere tardi, incastonandola a sorpresa nella veranda della casa di Bill immersa nel grande spazio statunitense, via d’entrata, non di uscita, agli stretti vicoli europei. Ciò di cui si sarebbe fatto a meno sono le tirate progressiste di Virginie, ragazza madre che aiuta l’uomo ad ambientarsi a Marsiglia, la rappresentazione della sua vita artistica e lo sviluppo dell’indagine di Bill, troppo prevedibile nel suo svoltare ad una partita di calcio come ne Il segreto dei suoi occhi di Campanella, sul cui solco McCarthy si perde, soffermandosi senza ragione nei meandri della prigionia del giovane Akim, forse il vero omicida di Lina.