La storia è presto detta: Sandra e Rémi stanno assieme da parecchi anni, e non riescono a concepire un figlio. Dopo opportuni accertamenti, risulta che il loro problema è psicologico e deriva da una sindrome particolare che dovranno superare facendo nuovamente sesso con tutte le persone con cui lo hanno fatto in passato.

E proprio La sindrome degli amori passati è il titolo dell'opera seconda degli sceneggiatori e registi Raphaël Balboni e Ann Sirot, francesi d'origine e belgi di adozione, che dopo La folle vita del 2020 – il cui antefatto era ancora una volta il desiderio di un figlio – tornano a parlare di vita di coppia.

Come in tanta altra commedia sentimentale francofona, i due adottano un approccio anti-realista e anti-psicologista e si concentrano piuttosto sulla brillantezza della scrittura, con l'intenzione di sovvertire le aspettative degli spettatori e non facendosi mancare un tocco di surrealismo alquanto personale.

Così, giusto per sparigliare subito i vecchi luoghi comuni, scopriamo che le ex partner di Rémi sono solamente tre, mentre quelli di Sandra parecchi di più; e poi, mentre lei si dimostra del tutto serafica e a proprio agio nell'approcciarsi alla nuova impresa, lui è così impacciato e titubante da venire da lei incoraggiato a frequentare un'app di incontri per riprenderci un po' la mano.

Ovviamente il campionario dei rispettivi ex offre ampio margine di manovra alla narrazione: c'è quella che ora vive in una comune con altre donne e dunque il sesso può essere solo tutte assieme o nulla, quello che nel frattempo ha realizzato la propria omosessualità e pare ben poco entusiasta all'idea, quella che è diventata ormai da molti anni di fatto una sorella, con la quale l'impasse può essere superata solo grazie a un opportuno ritrovo orgiastico in maschera.

Nel mezzo, una certa quota di nudo che fa sempre “corpo liberato”, una resa stilizzata dei rapporti sessuali tramite intermezzi simil-allegorici che più che originali appaiono inutili, e una nuda stanza immaginifica nella quale le foto degli ex appese al muro assomigliano loro malgrado a quelle delle vittime e dei sospettati in un crime qualunque.

Non è comunque privo di una certa piacevolezza La sindrome degli amori passati, anche grazie ai due protagonisti Lucie Debay e Lazare Gousseau, e la visione scorre senza intoppi per almeno due terzi della pellicola, quando con un imprevisto scartamento di tono Sandra comincia a soffrire perché le sembra che Rémi stia prendendo un certo gusto a quella vita poligama, al di là del loro obiettivo iniziale.

Difficile però a quel punto per gli spettatori, visto il mood in cui il film li ha inseriti, compartecipare al subitaneo struggimento dei protagonisti, e capiremo infatti dal finale chiaramente programmatico perché fosse necessaria al racconto quella momentanea crisi personale e di coppia.

La sindrome degli amori passati funziona a sufficienza se preso come semplice divertissement che intrattiene portando lievemente fuori asse lo status quo, ma come critica sociale che pretende di portare riflessioni – nemmeno tanto innovative, in verità – sulla coppia etero contemporanea lascia attorno a sé quel lieve imbarazzo di chi si sforza troppo di sembrare arguto e fuori dagli schemi.