*, il simbolo della stella, è il titolo dell’ultimo lavoro di Johann Lurf, presentato a Bologna in occasione di Art City. Il giovane filmmaker austriaco si serve di un simbolo evocativo, che forse ad alcuni avrà subito richiamato alla memoria un'altra stella comparsa nel 2016 sulla copertina dell’ultimo album di David Bowie e, come questo starman per definizione, Lurf ci invita ad affrontare la sua personalissima space oddity attraverso un found footage, altamente cinefilo, montando una serie infinita di sequenze cinematografiche nelle quali compaiono delle rappresentazioni della volta celeste. 

L’attenta ricerca di Lurf, non ancora conclusasi, è già previsto l’ampliamento del film, non poteva che avere origine dalla visione della splendida notte stellata che avvolge l’isola di Stromboli (1950) a cui Ingrid Bergman rivolge la sua disperata preghiera, un input che ha fatto scattare il desiderio di scovare nell’archivio della propria memoria tutti i film che hanno come protagonisti, anche solo per pochi minuti, dei cieli stellati, una raccolta che alterna semplici sguardi rivolti al cielo ad avventurose spedizioni nell’universo.

Già in passato Lurf ha mostrato il suo interesse per lo spazio girando Endeavour (2010), un montaggio di filmati della NASA che riprende il lancio di uno shuttle. Comune è l’ambito di indagine, ma in queste immagini realistiche le esplorazioni spaziali non hanno di certo l’aura misteriosa e fantascientifica della collezione di cieli notturni di *. La presenza del sonoro in entrambi i casi crea un flusso disarmonico che ritroviamo nell’intera filmografia di Lurf, le tracce musicali solo accennate, le comunicazioni via radio interrotte e i dialoghi appena abbozzati, mettono in maggior risalto quello che all’autore preme, in « il disorientamento sensoriale viene amplificato dallo scorrere delle sequenze, estrapolate da contesti filmici di cui non abbiamo nessuna indicazione – se non l’aiuto di una buona memoria visiva – Lurf si fa portavoce di una ricerca che trova le proprie radici nelle sperimentazioni dei primi pionieri del cinema. Con il passare del tempo le tecnologie sempre più avanzate e il progredire degli studi astronomici, non sembrano aver favorito una resa realistica dei cieli stellati che, spiega Lurf, nel 99 % dei casi sono frutto dell’immaginazione di chi ne ha curato la messa in scena; anche in Stromboli le costellazioni, se osservate con più attenzione, sono completamente sbagliate.

È quindi la fantasia ad aver giocato un ruolo di primo piano nella rappresentazione del cielo notturno, una libertà d’espressione che ha origini lontane e trova nel cinema uno degli ultimi interpreti. Penso all’astrazione del cielo nelle decorazioni musive del Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna (V secolo), alla volta celeste della Cappella degli Scrovegni dipinta da Giotto a Padova (1303-05) e all’esplosione luminosa degli astri nella Notte stellata (1889) di Vincent van Gogh, solo per citare alcune delle opere più celebri. Lurf troverebbe altrettante fonti nell’ambito della storia dell’arte, e molto probabilmente come è accaduto di fronte al cielo di Roberto Rossellini si stupirebbe nello scoprire che nella disposizione, a prima vista realistica, degli elementi astronomici dipinti da Adam Elsheimer ne La fuga in Egitto (1609) qualcosa non torna.

Come di fronte a un trompe-l’oeil, inganno visivo più o meno illusorio, il regista ci chiede di abbandonarci davanti alla sublimazione della realtà che lo schermo fatica a contenere.

Lurf esplora dei paesaggi naturali in cui non è contemplata la presenza dell’uomo, in sua mancanza analizza l’ambiente in cui questo agisce come accade in Vertigo Rush (2007), qui l’effetto Vertigo sperimentato da Alfred Hitchcock serve a sondare la profondità di un bosco stravolto dal passaggio dal giorno alla notte; in RECONNAISSANCE (2012) e EMBARGO (2014) sono i movimenti impercettibili delle luci e dello sfondo a mettere a dura prova la percezione di questi scenari desolati.

In * ogni traccia umana viene eliminata durante il montaggio, una assenza di cui le voci dei protagonisti sembrano essere l’unico riverbero sopravvissuto nell’ignoto spazio profondo, se è vero, come racconta Ludovico Ariosto ne L’Orlando Furioso, che nell’universo nulla va perduto, sono forse queste le preghiere, le lacrime e i sospiri degli amanti? Lo sguardo, ipnotizzato dallo schermo cinematografico trasformatosi in un planetario, si perde nell’immensità dello spazio, mentre una resistenza, la definirei un automatismo, combatte contro questo abbandono sensoriale, cercando a tutti i costi di riconoscere i film da cui provengono i fotogrammi.

“Ground Control to Major Tom”, ci sembra di sentire, un ultimo fievole richiamo, ma la Terra è ormai lontana più di centomila miglia.