“Cavolfiore!”. Una parola pronunciata fuori contesto, all’improvviso, un no sense per tutti al di fuori dei fratelli Logan. Dietro questa invocazione si cela un destino apparentemente ineludibile, caratterizzato da una sfortuna cronica, che perseguita una famiglia da generazioni. Jimmy (Channing Tatum) si è giocato una brillante carriera nel football a causa di un grave infortunio al ginocchio e adesso si guadagna da vivere come operaio di miniera. Clyde (Adam Driver), prima di versare da bere dietro il bancone del ‘Duck Tape’, ha servito il Paese in Iraq dove, prossimo al congedo, ha perso il braccio - anzi la mano, come tiene puntualmente a precisare - per colpa di una mina antiuomo. L’unica ad essere immune alla ‘maledizione dei Logan’ è la sorella minore Mellie (Riley Keoungh), giovane e bella parrucchiera con la passione per le macchine da corsa, e amorevole zia di Sadie (Farrah Mackenzie), l’esuberante figlioletta che Clyde ha avuto dall’ex moglie Bobbie Jo (Katie Holmes). Desiderosi di dare una svolta alle loro vite i fratelli Logan si prefiggono un ambizioso obbiettivo: compiere una rapina durante una gara automobilistica Nascar che si tiene in occasione del Memorial Day. Uno degli eventi sportivi più seguiti d’America il cui incasso raggiunge ogni anno cifre stellari che vengono immesse - attraverso un complesso sistema di tubi per il trasporto pneumatico - dalle casse dello Charlotte Motor Speedway direttamente nel caveau di una banca. Nel folle progetto viene coinvolto - nomen omen - Joe Bang (Daniel Craig), scassinatore esperto di esplosivi che a sua volta chiede aiuto ai fratelli minori Fish (Jack Quaid) e Sam (Brian Gleeson), due rednecks dalla vita turbolenta che hanno deciso di “vivere con il Signore sul lato chiaro della strada”.
La truffa dei Logan è un film di frontiera, quella geografica che divide Boone County in West Virginia da Charlotte in North Carolina, e quella metaforica oltrepassata da Steven Soderbergh con il ritorno al lungometraggio quattro anni dopo il fallace addio al cinema. Una panoramica sugli orizzonti culturali dell’America di Trump ambientata in due delle roccaforti elettorali del tycoon. Gli States, patria delle grandi opportunità, ma non per tutti. Un Paese in crisi che celebra i propri veterani senza riuscire più a prendersene cura e che addobba le proprie figlie con ciglia finte e abbronzatura spray per poi mandarle a ingrossare le fila di agghiaccianti concorsi di bellezza. Le sonorità folk rock di John Denver fanno da tappeto emotivo alla lotta di Jimmy per riappropriarsi della sua dignità di padre, mentre le musiche originali composte da David Holmes - autore della colonna sonora - esaltano i ritmi serrati delle adrenaliniche sequenze d’azione. Il cast d’eccellenza è impreziosito dai camei - o poco più - di Hilary Swank nei panni di una lungimirante agente FBI e Sebastian Stan e Seth MacFarlane, rispettivamente pilota e proprietario di una scuderia automobilistica.
Un heist movie in salsa operaia da cui emergere un’attrazione quasi infantile di Soderbergh per la natura umana. L’autore della trilogia Ocean’s - (auto) citata più volte nel corso film - torna con il suo stile registico dinamico - a tratti rocambolesco come le rapine architettate dai suoi personaggi - ma sempre calibrato con chirurgica precisione in fase di scrittura. Perennemente in bilico fra poli opposti, come stupidità e genialità, la narrazione riesce a mantenersi in carreggiata grazie al ritmo incessante del montaggio. Un meccanismo perfetto che non svela al grande pubblico tutti i suoi segreti. Sulla paternità della sceneggiatura - firmata con lo pseudonimo Rebecca Blunt - infatti aleggia ancora un alone di mistero. É stata opera del regista stesso, di sua moglie Jules Asner o addirittura dell’attore comico John Henson? A pensarci bene non è poi così importante perché ne La tuffa dei Logan, grazie alla consueta attitudine ludica, Soderbergh da vita al suo più calibrato e riuscito elogio all’intrattenimento.