Chi avrebbe mai detto che il ritorno di Sophia Loren non sarebbe avvenuto sul “grande schermo”? E pensare che La vita davanti a sé presenta tutte le caratteristiche dell’evento cinematografico par excellence. Un decennio trascorso dall’ultima prova attoriale importante (se escludiamo il cortometraggio Voce umana), un copione tratto da un romanzo cardine della letteratura francese e un precedente filmico — illustre — col quale misurarsi. Non ultima la regia di Edoardo Ponti, secondogenito di Sophia e del produttore Carlo, che contribuisce a delineare un progetto ambizioso e difficile sin dalle premesse. Un film-evento in tutto e per tutto che, per far fede ai presupposti, doveva essere distribuito nelle sale per un periodo limitato e che oggi, al contrario, esce unicamente su Netflix.
Oltre a farci ragionare sul presente (e sul futuro) della fruizione cinematografica nello scenario pandemico, La vita davanti a sé sembra essere destinato su più fronti a fare i conti col passato in chiave contemporanea. Operazione difficile e non pienamente riuscita, ma che per un po’ è stata nel mirino degli Oscar 2021 secondo Variety e altre testate specializzate. E sì che gli elementi c’erano tutti, compreso un esplicito carattere inclusivo che tra qualche anno costituirà il requisito minimo per catturare ufficialmente le attenzioni dell’Academy.
In una Bari che “Bari non è” — e che potrebbe essere una qualsiasi altra città portuale, se intesa come crocevia di culture differenti — Mohammed detto “Momò” (Ibrahima Gueye) è un ragazzino immigrato dal Senegal. Rimasto orfano e affidato dai servizi sociali al Dottor Cohen (Renato Carpentieri), Momò subisce il fascino degli spacciatori, mentre il suo carattere indomabile lo conduce da Madame Rosa (Sophia Loren), ex prostituta che si prende cura di bambini reduci da situazioni drammatiche. In questa convivenza forzata, Momò scoprirà i segreti di Madame Rosa e Rosa quelli di Momò, in uno scontro formativo in cui i traumi, come i nodi, non aspettano altro che venire al pettine. Come le visioni di Auschwitz di Rosa, che si ostinano a estraniarla e paralizzarla, o i sogni di Momò, che trasferisce nell’immagine della leonessa il ricordo della madre deceduta.
Non è tanto nella mise-en-scène pulita e fin troppo lineare (al limite del didascalico), ma nelle crepe di una voce ancora potente e squillante che il racconto ri-scritto da Edoardo Ponti e Ugo Chiti trova una sua forza narrativa. È, insomma, grazie a Sophia Loren, alla sua recitazione così credibile da risultare opportunamente incerta, che il film scopre una sua dimensione fieramente “grezza”. Lo spirito del romanzo di Romain Gary (pubblicato, al tempo, con lo pseudonimo di Émile Ajar) si regge in questo adattamento proprio sul ritmo sbilenco di alcune battute, sugli sguardi smarriti, su poche scelte viscerali che sostengono una rappresentazione altrimenti convenzionale. È celebrando la madre Sophia, i segni tangibili del tempo che passa, che Ponti riesce a comporre una testimonianza trans-generazionale e, se non brilla per inventiva, di certo riesce a incanalare efficacemente la forza espressiva di un volto.
Del resto, Madame Rosa è la “summa” ideale di diversi ruoli storici della Loren. Si finisce per ammirare con rassicurante familiarità la carica severa, drammatica e meccanicamente ironica di un personaggio plasmato su misura che, nonostante lo scarso mordente dell’intreccio, riesce a interagire teneramente con le potenzialità del giovane Gueye. Ed è proprio sulla tenerezza che si fonda l’intera visione di Ponti: non c’è spazio per approfondimenti al di fuori delle relazioni emotive che i personaggi costruiscono l’uno con l’altro. Un’ode ai “buoni sentimenti”, direbbe qualcuno, ma ancor di più una fiaba dedicata agli “ultimi”, una citazione generosa de I miserabili incentrata sulla speranza, qui riposta nel dialogo tra generazioni distanti.
La vita davanti a sé è un film sulla tolleranza e sulla convivenza, ma nel senso più ampio del termine. E se la cifra stilistica capitola nell’intento di trasportare il romanzo di Gary/Ajar in territori contemporanei, quantomeno possiamo godere del ritratto di un’icona intramontabile.